Lascia che il poeta viva – Intervista ad Adam Zagajewski

ARLINDO HANK TOSKA: Recentemente è stata pubblicato per Mondadori Guarire dal silenzio, una raccolta di poesie che traccia mezzo secolo di vita e di pensiero di uno dei poeti più influenti e conosciuti del momento: Adam Zagajewski.

Nella poesia I POETI SONO DEI PRESOCRATICI, dici che i poeti non capiscono nulla: a lungo tacciono, e poi cantano e cantano «finché non scoppia la gola». «Cosa può fare un poeta – ti chiedi – nell’esercito, in ospedale o nel mondo»?

La mia prima domanda è proprio questa: cosa ci fa Adam Zagajewski nel mondo? Perché continui a scrivere nel 21 ° secolo?

ADAM ZAGAJEWSKI: Per prima cosa, lasciami commentare la tua osservazione. I filosofi presocratici mi hanno sempre incuriosito per la qualità «incompiuta» dei loro scritti. Non dicono mai nulla di preciso (nella moderna concezione del termine), prendono le distanze da qualsiasi “scienza”. Parlano attraverso enigmi, immagini, frammenti. Non differiscono molto dai poeti...

Mi chiedi “perché continuo a scrivere”. Beh, semplicemente perché sono vivo. Il numero del secolo è cambiato 20 anni fa, ma le domande fondamentali che ci attaccano sono sempre le stesse. Le scienze positive stanno progredendo, mentre poesia e filosofia rimangono nello stesso stato di smarrimento.

Uno smarrimento che a volte dà felicità e a volte può essere una vera tortura.

Ma qui, all’inizio della nostra conversazione, devo dire che uno dei principali motori della mia scrittura è una tensione tra il suo orientamento più “metafisico” e un vivo interesse per le questioni morali e politiche, per la vita della società, la mia e anche globale.

 

AHT: Nella tua intervista con Svetlana Gutkina, affermi che la poesia ha molto a che fare con la preghiera e che anche l'impulso di scrivere poesia è in qualche modo correlato all'impulso della preghiera. Tuttavia, neghi qualsiasi relazione con Dio. Potremmo definire la poesia, come ha fatto Bonnefoy, una sorta di «teologia della terra»? Cosa significa?

AZ: “Teologia della terra” — suona come un concetto troppo nietzschiano, un’espressione di contrarietà nei confronti di una teologia più tradizionale. Tuttavia, Nietzsche non è il mio dio, anche se da giovane ero affascinato dai suoi scritti.

Non potrei dire che “nego qualsiasi relazione con Dio”. La fortuna della poesia – come anche il suo problema – è che ai poeti è in qualche modo permesso di non sviluppare teorie astratte, o di proporre affermazioni teoriche. Così facendo uccidono una sorta di innocenza che dovrebbero preservare. Naturalmente infrangono sempre questa regola. Ma il loro elemento è il concreto, sempre il concreto. Non viene loro concesso, ma per lo più non ne sono capaci, di farlo bene. Per me la poesia sta brancolando nel buio. Si dice che il famoso poeta cinese ubriaco Li Po sia annegato in un fiume perché ha scambiato il riflesso della luna per quella vera – o per un salvagente. L’oscurità può essere tragica, ma anche esilarante. Tende ad essere piuttosto sul lato triste delle cose, perché il nostro destino non è molto divertente. E questa ricerca è, direi, parallela a quella religiosa – e anche molto diversa. Poesia, filosofia, religione—sono come ricercatori che lavorano nello stesso laboratorio ma su piani diversi dell’edificio. E naturalmente litigano in continuazione, e ognuno di loro dice: Sono al piano più alto, guardatemi!

 

AHT: Colgo l’occasione per una domanda sui “tuoi” autori: quando ho letto la poesia LA FIAMMA (Signore Iddio, dacci un lungo inverno, / una musica sommessa...), la prima cosa che mi è venuta in mente è stato il tono de LA LUCE, MUTATA, la poesia di Yves Bonnefoy. In I MIEI POETI PREFERITI, affermi che i tuoi poeti preferiti amavano le nuvole; forse pensavi a quelle nuvole che passano, comme ci, comme ça... laggiù ... Le meravigliose nuvole!

Oltre a Miłosz e Szymborska, chi sono i poeti/filosofi che ti hanno influenzato maggiormente? Leggi anche scrittori contemporanei? 

AZ: Non è una domanda facile—ci sono molti poeti che considero miei maestri. A volte trovo un poeta la cui unica poesia mi parla con grande forza, per esempio Giorgios Seferis con il suo “Re di Asìne”, una poesia che getta luce sulla situazione spirituale della poesia greca contemporanea (forse non solo greca). Yeats con molte poesie, tra cui l’incredibile “Navigando verso Bisanzio”; una poesia strana, nel senso che è difficile credere che Yeats possa trovare nella vera Bisanzio i miracoli dell’intelletto che desiderava. Montale con tante poesie, con la sua costante ricerca di un istante di rivelazione e di godersi tutti gli impedimenti, tutti gli ostacoli su questa strada. Mandel'štam, che ha saputo fondere una visione tragica della vita con un forte senso dell’umorismo e una meravigliosa concretezza di immagini. Gottfried Benn, la cui poesia ha un fascino segreto—la sua poesia “Chopin” per esempio, a coup de force, e quanto sia difficile analizzarne la seduzione. Vladimir Holan. E la “scuola polacca della poesia”, come l’ha battezzata Miłosz (lui stesso, Herbert, Szymborska, Wat, Różewicz), con la sua amara riflessione sul dramma della storia—vista sia nella prospettiva di un unico destino che in un contesto più ampio.

Cito qui solo i poeti moderni, naturalmente leggo anche gli antichi maestri.

 

AHT: Sei stato, e lo sei ancora suppongo, un appassionato ascoltatore di musica, e la musica, proprio come la letteratura, attraversa i tuoi libri; l’hai definita «un ponte, o un molo», che ti porta fuori dal banale mondo delle preoccupazioni pratiche nella serenità e nella drammaticità di una realtà non pratica. In Slight Exaggeration, affermi che «l’eterna dissonanza tra il dentro e il fuori, la storia d’amore dell’anima con il mondo, questa incessante e feconda mescolanza si misura in musica e poesia; musica e poesia studiano le proporzioni in cui l’Interno e l’Esterno si mescolano».

In cosa esse differiscono nel misurare questa eterna dissonanza tra interno ed esterno? Come cooperano musica e poesia? 

AZ: Non so se posso rispondere a questa domanda. Sono un praticante, dopotutto. La musica mi affascina per la sua energia, quello slancio che qui, nelle sonate, nei quartetti e nelle sinfonie è per così dire nudo, quintessenziale, travolgente. La poesia vacilla tra pensiero ed emozione, la musica aiuta i poeti a mantenere l’equilibrio tra i due...

 

AHT: Una delle tue poesie più conosciute e apprezzate – Prova a cantare il mondo mutilato – è un forte riferimento alla memoria: infatti, oltre all’ammonimento di provare a cantare il mondo mutilato – suggerendo che il «cantare il mondo mutilato» sia qualcosa su cui bisogna lavorare –, tutti i verbi sono al passato. Eppure, questo equilibrio cambia nel corso della poesia, che si conclude con l’imperativo «Canta il mondo mutilato».

Questo «canto», questo «elogio» è solo una constatazione di ciò che era e non può più essere, o una sollecitazione ad agire (magari in ambito socio-politico)? Qual è il significato di questo «canto»? Qual è la sua definizione di «mondo»?

AZ: Questa poesia—ricordo ancora l’emozione che ha accompagnato i suoi inizi, in realtà solo la nascita del verso “Prova a cantare il mondo mutilato”; è successo in un treno in Germania, credo (i treni fanno bene all’ispirazione, a volte). Per me è stata una semplice giustapposizione di due convinzioni contrarie profondamente sentite. La prima è stata la certezza, che ho raggiunto dopo anni di ricerca di una comprensione del mio spirito, che sono piuttosto uno di quelli che lodano e cantano più che essere un ribelle radicale (anche se ai miei inizi ero dalla parte dei ribelli). La seconda era l’osservazione che si addiceva piuttosto a un iconoclasta: che questo mondo che volevo elogiare era profondamente corrotto, mutilato, pieno di disperazione, di perdite. Mi ha semplicemente acceso l’immaginazione. Le contraddizioni sono bellissime. Non volevo che questa poesia fosse un testo programmatico, un manifesto.

E “mondo” —i filosofi non sanno definirlo, non aspettatevelo da me.

 

AHT: Al Nexus Institute, quando ti è stato domandato quale fosse il ruolo e il potere della poesia, hai risposto che la poesia non ha alcun potere e che i poeti sono esseri umani inutili, perché non producono nulla; eppure, la poesia è una sorta di ricettacolo di una certa lucidità, ci regala alcuni momenti di lucidità: una buona poesia è la registrazione di un momento di lucidità.

Posso chiederti di definire il concetto di «lucidità» in relazione alla sua definizione di «mondo»? Qual è l’episodio più lucido che ti è stato «dato» da una poesia?

AZ: Queste domande – come quella posta qualche tempo fa al Nexus Institute – tendono a provocare risposte molto diverse. Ci sono momenti in cui credo nel potere del verso (a proposito, c’è un bel libro di un critico americano, Robert von Hallberg, «Lyric Powers»). Dopotutto, la poesia ha contribuito alla rivoluzione democratica in Polonia negli anni '80.

In un registro diverso: a volte una poesia molto potente può salvare la vita di qualcuno, convincere un uomo o una donna, che sta vivendo una profonda crisi esistenziale, che la vita vale la pena di essere vissuta.

Per quanto riguarda la “lucidità” – anche qui mi spingi in direzione del pensiero analitico. Schopenhauer ha usato il concetto di “coscienza superiore”, che denota uno stato mentale che trascende il modo utilitaristico di ragionare. Non sono necessariamente uno schopenhaueriano, ma credo nell’esistenza di momenti di “coscienza superiore”. Sono rari e preziosi, sono momenti di lucidità.

Uno dei principali nemici della poesia (e dell’arte in generale) è oggi il fascino per la politica, osservato già da Hegel, l’avversario di Schopenhauer. Soprattutto in tempi di crisi – come quello che viviamo in Polonia, la rinascita di visioni e azioni neofasciste, anche da parte del governo – la poesia viene spesso liquidata come poco importante o evasiva. I commentatori politici sono gli eroi!  Non i politici.

 

AHT: Un’ultima domanda personale «Sfoglia i tuoi ricordi/ cuci per loro una coperta di stoffa. / Scosta le tende e cambia l’aria. / Sii per loro cordiale, leggero. / […] Questi ricordi sono tuoi, / non li dimenticherai fino alla fine».

Quali sono i ricordi, che sono «tuoi»?

AZ: Ah, i miei ricordi! Alla mia età! Un oceano di ricordi di ogni tipo! Eppure a qualsiasi età si volge lo sguardo in direzione delle vittorie e delle perdite future (la proporzione tra di esse può però cambiare).

 

AHT: Grazie infinite per il tuo tempo! È stato un onore intervistare la Poesia.

AZ: Grazie per il tuo interesse per la mia opera.

Arlindo Hank Toska

Dopo aver studiato Filosofia a Verona, Trento e Cracovia, la sua ricerca si concentra sul romanzo e la poesia, privilegiando ora temi legati alla retorica, alla teoria della scrittura e alla teoria della traduzione. Dal 2020 collabora con Mimesis Edizioni e Edizioni JOKER come traduttore. Nel 2023 esce la sua prima monografia Emil Cioran. Scrittura dell’Irreparabile.

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