Il mondo altrove – La quarantena di Sam Levinson, tra Euphoria e Malcolm & Marie

Corpo-affezione - Euphoria

Come spiegare che abbia assunto una tale importanza la figura che appare nella pupilla? Perché, sulla superficie del corpo umano, è l'unico punto dove si manifesta il riflesso, quindi la capacità non solo di vedere, ma di riflettere in altra forma ciò che l'occhio vede.[i]

Fuck Anyone Who's Not A Sea Blob (dir. S. Levinson, 2021), lo speciale di Euphoria dedicato al personaggio di Jules (Hunter Schafer, anche co-sceneggiatrice dell’episodio), si apre con una celebrazione del corpo colto nella sua massima capacità affettiva: un primo piano di Jules («L’immagine-affezione è il primo piano, e il primo piano è il volto…»[ii]), seguito da un dettaglio oculare della stessa. In quest’ultimo assistiamo ad una particolarissima declinazione tecnica del recadrage, in cui a farsi quadro nel quadro sono la pupilla e l’iride sinistra della ragazza, di cui viene esaltato il potenziale schermico.

L’occhio di Schafer è investito dalle immagini degli episodi precedenti, attraverso un particolarissimo escamotage metacinematografico in cui i ricordi di Jules -di cui non viene negata la natura finzionale- appaiono sotto forma di proiezione luminosa, il cui schermo di destinazione è la superficie oculare stessa. All’idea di corpo come schermo, ridotto a ricettore passivo di qualcosa occorso altrove, che cerca non un interlocutore ma un semplice supporto materico per manifestarsi nuovamente, si lega l’approccio luministico adottato (Marcell Rév alla fotografia): una luce dalla cromia costantemente cangiante, quasi a forzare un’indagine sulle proprietà metameristiche del corpo investito. Qualcosa di analogo, sul piano visivo, era già avvenuto nel primissimo episodio della serie, Pilot: a essere vittima del divenire policromo era però la fisionomia di Rue (Zendaya).

Il volto di Rue diviene in questa scena materiale malleabile, alla mercé di una variazione cromatica che ad ogni fotogramma ne riconfigura i connotati. Vittima di qualcosa che la eccede, il suo assurge (o è degradato) a corpo-affezione. Nel dettaglio della pupilla di Fuck Anyone Who's Not A Sea Blob tale configurazione corporale viene sofisticata e condotta su di un piano metatestuale: la luce non è riconducibile ad una fonte diegetica/diegetizzata (come nel caso di Rue in Pilot, in cui a illuminare il suo volto erano le luci della festa a cui prendeva parte), ed anzi coincide con il fascio luminoso di una proiezione. Estendendo il nostro campo visivo, è possibile accorgersi che gli speciali Trouble Don't Last Always (2020, dedicato a Rue) e Fuck Anyone Who's Not a Sea Blob tematizzano e sottolineano l’idea di una corporeità eminentemente affettiva, in cui alle protagoniste della serie, Rue e Jules, è negata ogni capacità di azione. Un percorso in cui è possibile inscrivere anche l’ultimo lungometraggio di Sam Levinson, Malcolm & Marie (2021), le cui connessioni agli specials di Euphoria vanno oltre le marcate affinità tra Rue e Marie (entrambe interpretate da Zendaya, entrambe affette da problemi di tossicodipendenza, entrambe coinvolte in una relazione che periodicamente svela la sua natura strutturalmente gerarchica).

Ad accomunare i tre progetti sono innanzitutto le contingenze produttive, che Levinson non si limita a subire ma con le quali intrattiene un fertile dialogo. Si allude ovviamente alle limitazioni emergenziali legate alla pandemia. Nell’impossibilità di procedere con la realizzazione della seconda stagione di Euphoria, Levinson opta per la creazione di due speciali “monopuntuali”, focalizzati esclusivamente sui personaggi prima di Rue, poi di Jules, Sulle loro sensazioni e sentimenti, sulle loro (indefinite) prospettive. Più che configurarsi come un tramite verso la seconda stagione, come dei teaser dalle dimensioni abnormi, i due specials sono soprattutto l’eco della prima. L’interiorizzazione di quanto accaduto, le riflessioni da questo suscitate. Nulla, effettivamente, accade. Il mondo, inteso come flusso logico-causale (e dunque narrativo) è posto altrove, annientato nel fuori campo. All’assoluta esuberanza visiva, alla poli-direzionalità labirintica e alla coralità cui Euphoria ci ha abituato (elementi che esplodono in episodi come Shook Ones Pt. II) Levinson oppone un momento di pausa, di silenzio controllato. Due sedute psicanalitiche (una in senso lato, una in senso proprio), durante le quali insistere sui corpi di Rue e Jules, strappati al flusso intransigente della narrazione, e scavare nella loro psiche come mai era stato possibile.

Due lunghi episodi di dialogo, in cui l’altrove è invocato senza che l’evocazione possa mai dirsi effettivamente riuscita. Il mondo esterno fa irruzione sporadicamente, sotto forma ora di landa desertica, fredda e inospitale (il parcheggio del Frank’s Restaurant), ora di pioggia scrosciante, apocalittica. Ed è proprio la pioggia a concludere i due episodi, in un doppio finale simmetrico. La pioggia scherma le due ragazze, evidenziando la superficie di vetro che le protegge dalla sua irruzione, e enunciando ancora una volta la loro condizione di chiusura ermetica al mondo.

Ognuno degli speciali è identificabile come un microcosmo ripiegato solipsisticamente su se stesso, incapace di intervenire attivamente su ciò che lo circonda, ma unicamente di afferirne. Purtuttavia, anelando ad un ricongiungimento con il proprio altro. Il vincolo erotico che lega Rue e Jules è ammansito, frustrato, ma non estinto. Trouble Don't Last Always e Fuck Anyone Who's Not a Sea Blob si co-implicano vicendevolmente. L’uno è il fuori campo dell’altro, la sua controparte invisibile. Rue mira a Jules, Jules a Rue. Come ne La passione di Giovanna d’Arco (La passion de Jeanne d'Arc, dir. C. T. Dreyer, 1928), il martoriamento del visibile, il suo approssimarsi assottigliandosi all’evanescenza, consiste in un atto sacrificale votato alla palpitazione di un altrove imprendibile, irriducibile. Nel caso del film di Dreyer, il significante-Falconetti allude allegoricamente al contenuto spirituale incommensurabile par excellence, Dio stesso. I corpi di Rue e Jules si limitano ad anelarsi l’un l’altro. Nel caso di Levinson, la pratica ascetica (la rimodulazione stilistica cui il suo cinema è sottoposto, consistente in primis nella drastica riduzione del numero degli interpreti impiegati) non è frutto di un voto, di una deliberazione intenzionale, quanto di una problematica necessità di adattamento.

Altrove - Malcolm & Marie

Il discorso principiato dagli specials prosegue con Malcolm & Marie, girato in segretezza in piena pandemia nell’estate del 2020, e uscito su Netflix a distanza di  poche settimane da Fuck Anyone Who's Not a Sea Blob (HBO). Quanto in nuce nel dettaglio oculare di Jules esplode a piena potenza nel terzo lungometraggio d Levinson: Malcolm & Marie è un meta-film, configurantesi in primo luogo come l’eco suscitata da Imani, opera cinematografica (fittizia) di Malcolm, di cui non ci è dato vedere neanche un fotogramma. Reduci da quella che viene descritta come una trionfale anteprima, Malcolm (John David Washington) e Marie raggiungono la loro villa a Malibù. Qui ha luogo massacrante lite, un lungo dialogo su ciò che Imani rappresenta, su quali siano i demoni che affliggono la coppia, sul loro passato. Ma tutto scaturisce da un film che, sul piano spettatoriale, rimarrà inesperibile. In Berberian Sound Studio (dir. P. Strickland, 2012), del fantomatico Il vortice equestre di Giancarlo Santini (Antonio Mancino) ci era almeno concesso di ascoltare qualcosa. Di Imani non abbiamo alcuna traccia. Al più qualche testimonianza imprecisa (quella della critica cinematografica del «LA Times»), faziosa (quella di Marie, o dello stesso Malcolm). Negando radicalmente il mondo, ponendolo in un altrove illocalizzabile, Levinson fa del suo Malcolm & Marie un’eco senza voce originaria, un meta-testo senza testo cui aderire. Un’affezione autoriflessiva. Da qui la necessità di ricongiungersi a quanto il fuori campo ha annientato. Se le inquadrature conclusive degli specials riconfermavano il confinamento delle co-protagoniste di Euphoria in uno spazio angusto, Malcolm e Marie riescono finalmente a fuoriuscirne, volgendo il loro sguardo, finalmente, altrove. Verso il mare.

Levinson è in grado di tradurre abilmente le limitazioni imposte dallo stato emergenziale, formalizzandole. Tematizzandone le problematiche in maniera tutt’altro che pedissequa e prevedibile, trasversalmente, evitando qualsivoglia forma di mero cronachismo. Rimodulando il suo stile senza sacrificare il suo talento, insistendo sui personaggi, sulla loro interiorità e sugli interni che si trovano forzosamente ad abitare. Componendo una trilogia tematicamente e stilisticamente coesa, che è tra i primi esempi di una proficua assimilazione del fenomeno pandemico da un organismo mitopoietico quale il cinema.

Torino, 11 Febbraio 2021

[i]R. Calasso, L’ardore, Adelphi, Milano 2010

[ii]G. Deleuze, L’immagine-movimento, Cinema 1, Einaudi, Torino 2016

Niccolò Buttigliero Junior

Vita low budget in campionato juniores. Vedere, scrivere, fare cinema - ut scandala eveniant.

Laureato al DAMS di Torino in Storia e teoria dell'attore teatrale con una tesi sul «progetto-ricerca Achilleide» di Carmelo Bene. Vive in un cinema e lavora in un teatro.

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