Il Giocoliere
Magic Fantasy : Michael Parkes Magic Realism Art (Vol.02) - The Juggler 1981 - Michael Parkes Magic Realism Paintings 4
Nel limbo dell’alba, al confine tra sogno e realtà, apparve in città come un pensiero improvviso un essere umano dal nome segreto, custodito dal vento. I bambini lo seguivano in processione silenziosa, attratti come falene dalla luce, gli adulti pativano meraviglia e paura. Giocolava con universi in miniatura: le uova. Uova di gallina dal guscio delicato come porcellana, uova di quaglia punteggiate come cieli notturni, maestose uova di struzzo che sembravano contenere intere galassie, persino rare uova di tartaruga marina che - sussurrava ai più curiosi - aveva raccolto nell’attimo sacro in cui il mare esitava prima di reclamarle.
«Ogni uovo», mormorava ai bambini, «è un universo che respira in attesa. Io non sono che il custode momentaneo del loro volo verso l’esistenza. O forse, sono le uova a custodire la mia possibilità».
Quando l’equinozio di primavera tinse il cielo di un rosa rivelatore, il Giocoliere interrogò il volo degli uccelli e annunciò la sua partenza verso Nord. «Luci colorate», confidò al sapiente gatto del mercato, unico depositario del suo segreto, «chiamano a sé le mie uova danzanti. Chi sono io, semplice viandante tra i mondi, per impedire a un uovo di rispondere a una chiamata del cosmo?».
Dopo giorni di cammino, o forse mesi, giunse a Nord, dove la neve canta sotto i passi nei boschi di betulle bianche, pallide e chiacchierone sentinelle del confine dei regni. Il Giocoliere annusava l’aria fredda, poggiava un orecchio sul ghiaccio per sentirne il bisbiglio, disquisiva intimamente con le rocce, memorie di vulcani estinti. Avvistò un giorno, avvolta in un mantello color notte, una figura seduta con dignità regale su un masso poco distante.
«Salute a te, o saggio discepolo del nulla!», esclamò inchinandosi.
«Ti aspettavo, Giocoliere», rispose lo sconosciuto con voce calma come il lago ghiacciato alle loro spalle.
«Mi aspettavi? Io stesso non sapevo che sarei transitato per questo sentiero. Seguivo quella nuvola», disse indicando il cielo sgombro, «ma deve essersi distratta e dissolta».
L’uomo accennò un sorriso: «Io sono Ermete Trismegisto, tre volte grande, custode delle leggi che governano l’universo».
Il Giocoliere spalancò gli occhi meravigliato, si avvicinò danzando e si sedette a testa in giù accanto a Ermete, le gambe appoggiate al masso, la testa adagiata sulla neve.
«Ho sentito parlare di te», proseguì il Giocoliere mentre il sangue gli colorava le guance di un rosso vivace. «Dicono che tu abbia svelato i segreti dell’alchimia e della trasformazione. Io una volta ho trasformato un uovo in una gallina, ma poi la gallina si è arrabbiata perché le piaceva essere un uovo, così l’ho ritrasformata. Non me ne ha voluto».
Ermete osservò imperturbabile il Giocoliere: «E tu possiedi un dono raro: infondi equilibrio in ciò che per natura tende a infrangersi».
Il Giocoliere aprì la sua scatola intarsiata con la delicatezza di un sacerdote che svela un reliquiario. Ne estrasse un uovo di un bianco così puro da sembrare luminescente. «Questo è il mio tesoro più prezioso». Con destrezza ipnotica lo fece danzare sul dorso della mano, poi sul gomito, infine sulla fronte.
«Posso?», chiese Ermete, tendendo la mano con dignitosa curiosità.
Il Giocoliere, con un gesto di abbandono e controllo assoluti, lanciò l’uovo verso Ermete. Il saggio lo afferrò al volo con un’agilità sorprendente e lo sollevò verso il cielo, dove la luce del sole lo attraversò, rivelandone le geometrie fragili e perfette.
«Come in alto, così in basso», mormorò Ermete. «La prima delle sette leggi».
«Cosa significa?», domandò il Giocoliere, e la sua espressione si fece improvvisamente seria come quella di un fanciullo che intuisce di trovarsi per la prima volta di fronte a una verità. Si sedette a gambe incrociate e ascoltò con attenzione le parole di Ermete.
«Significa che questo piccolo uovo racconta le leggi che governano l’intero cosmo. Guarda». Indicò il guscio con reverenza. «La sua forma è perfetta, un ellissoide come l’orbita dei pianeti intorno alle stelle. Il suo contenuto è duplice: albume e tuorlo. Come in cielo, così in terra».
Il Giocoliere annuì e si alzò di scatto. Come in un rito magico, estrasse tre uova dalla scatola e iniziò a farle roteare nell’aria in configurazioni sempre più complesse, disegnando traiettorie impossibili nello spazio. «È come me», esclamò con un sorriso radioso, «non appartengo né al cielo né alla terra. Vivo sul confine, sempre in movimento, come le mie uova».
«Stai illustrando la seconda legge», osservò Ermete con un sorriso di approvazione, «la legge della corrispondenza. Ogni cosa ha il suo opposto, ogni verità la sua mezza verità».
«Come il tuorlo e l’albume», esclamò il Giocoliere con l’entusiasmo di chi scopre i segreti del mondo, «separati ma uniti nello stesso guscio, come sogno e realtà!».
«La terza legge è quella della vibrazione», proseguì Ermete. «Nulla è immobile, tutto si muove, tutto vibra».
«Come le mie uova nell’aria», rispose il Giocoliere, accelerando il ritmo della sua ipnotica danza. «Sembrano ferme nel loro cerchio, ma è solo un’illusione creata dal movimento continuo».
«La quarta legge è quella della polarità. Tutto è duale, tutto ha poli opposti».
Il Giocoliere lanciò un uovo molto in alto, tanto che quasi svanì alla luce del cielo, per poi ricadere perfettamente nel nido della sua mano.
«La quinta legge è quella del ritmo. Tutto scorre dentro e fuori, tutto ha le sue maree».
Il Giocoliere modulò il movimento delle uova, creando un effetto ondulatorio che evocava il mare in tempesta. Poi, con improvvisa decisione, le lanciò tutte contemporaneamente verso l’alto e si distese sulla neve, calcolando con precisione la loro discesa in modo che atterrassero una sull’altra sul suo naso. «Su e giù, dentro e fuori, creazione e distruzione. Vivere è cadere!».
«La sesta legge è quella di causa ed effetto. Ogni causa ha il suo effetto, ogni effetto la sua causa».
«Come l’uovo che prende vita solo se fecondato», meditò il Giocoliere, riponendo le uova con cura materna nella scatola. «Ma chi può dire quale sia la causa e quale l’effetto? Forse la gallina è la causa dell’uovo che è la causa della gallina. Un cerchio perfetto, come la mia danza sospesa tra terra e cielo!».
«E infine, la settima legge: il genere. Tutto ha il suo principio maschile e femminile».
Il Giocoliere estrasse dalla scatola un uovo straordinario, bianco per metà e nero per metà, diviso con precisione assoluta. «Come questo! Un uovo dipinto che mi ha regalato un vecchio saggio in Oriente. Racchiude in sé lo yin e lo yang, il maschile e il femminile, la luce e l’ombra, in un equilibrio che è sempre sul punto di cambiare e mai cambia».
Ermete sorrise con approvazione. «Entrambi i principi risiedono in ogni aspetto dell’uovo. La polarità non è mai assoluta, ma sempre in movimento, come le tue uova nell’aria. Come te, che sei a metà tra cielo e terra».
Il sole stava calando dietro le montagne all’orizzonte, il cielo brillava di colori immortali. Il Giocoliere si distese sulla neve con abbandono infantile, disegnando con ampi movimenti delle braccia e delle gambe sul libro bianco del mondo. Ermete si alzò con solennità, chiudendo il sipario: «Continua il tuo viaggio, Giocoliere. Cammina sull’orlo del precipizio senza timore, perché sai che cadere fa parte del volo. Cerca l’Uovo primordiale, quello da cui tutto ebbe origine. Lo troverai dove il cielo bacia la terra e dove la scissione tra soggetto e oggetto si squaglia come neve al sole». Ermete si dissolse gradualmente in questo enigma, come nebbia al primo calore dell’alba, lasciando il Giocoliere solo nel silenzio del bosco innevato. Il viaggiatore salutò agitando la mano con energia verso il vuoto.
«Arrivederci, tre volte grande!», gridò. Poi raccolse una pigna caduta da un abete vicino, la esaminò con l’attenzione di un gioielliere che valuta un diamante e la depose nella scatola insieme alle uova preziose. «Ogni cosa è un uovo», confessò al vento, unico testimone, e riprese il suo pellegrinaggio camminando all’indietro.
Il Giocoliere proseguì il suo cammino verso Nord e giunse a un piccolo villaggio di tende coniche. Un uomo anziano con un tamburo si fece avanti.
«Ti aspettavo», disse l’uomo con un sussurro profondo e presentandosi come Yksi. «Gli spiriti mi hanno parlato di un uomo che cammina a testa in giù e danza con la vita non ancora nata».
Il Giocoliere smise di camminare sulle mani e si rimise in piedi, atterrando in una profonda riverenza che sembrava abbracciare Yksi e il villaggio intero, il paesaggio, l’aria. Quella notte, seduti attorno al fuoco nella tenda dello sciamano, dove le ombre danzavano sui volti come pensieri irrequieti, il Giocoliere raccontò del suo incontro con Ermete e delle sette leggi, mimando ogni concetto.
«Le leggi sono utili», commentò Yksi quando il Giocoliere finalmente si fermò, sdraiandosi a terra esausto come una stella caduta, «ma non colgono l’essenza». Prese il tamburo di pelle tesa tra le terre e iniziò a percuoterlo con un ritmo lento e ipnotico, come il battito del tempo prima del tempo.
Il Giocoliere si mise seduto, abbracciandosi le ginocchia come un bambino davanti al suo primo racconto. Yksi iniziò a narrare, la sua voce si fondeva con il ritmo del tamburo: «Prima del tempo, quando il cielo era ancora vuoto come un pensiero non pensato, la dea dell’aria galleggiava sulle acque primordiali, vasta distesa liquida che conteneva tutte le possibilità. Un giorno, un’anatra selvatica cercò un luogo dove deporre le sue uova e scelse il ginocchio della dea che emergeva dalle acque come un’isola di carne divina. L’anatra vi costruì il nido e depose sette uova: sei d’oro splendenti come soli e uno di ferro scuro come la notte senza stelle».
Il ritmo del tamburo si intensificò.
«Ma quando la dea si mosse, sentendo il peso della creazione sul suo corpo, le uova rotolarono nel mare infinito e si ruppero in mille frammenti luminosi. E dai frammenti nacque il mondo come lo conosciamo: dal guscio inferiore la terra con le sue montagne e valli, da quello superiore il cielo stellato con la sua volta infinita, dal tuorlo d’oro il sole ardente che vivifica, dall’albume d’argento la luna pallida che governa i sogni; dalle macchie scure le nuvole che portano pioggia e neve, dai frammenti più piccoli le stelle che orientano i viaggiatori».
«Meraviglioso!», esclamò il Giocoliere, iniziando a trasformare il racconto in danza cosmica. «L’uovo si rompe e nasce il mondo! La frammentazione diventa creazione! Come quando ci si sveglia da un sogno e nasce la realtà! O è il contrario? Forse quando ci addormentiamo rompiamo l’uovo della realtà e nasce il sogno, la vera essenza dell’esistere!».
Yksi lo guardò con interesse profondo, come chi riconosce una verità familiare espressa in una lingua straniera. «Sei più saggio di quanto sembri, Giocoliere. Ciò che stai descrivendo è il fenomeno originario. L’uovo è la totalità prima della scissione, la completezza che precede la differenziazione. Contiene già in sé la separazione tra soggetto e oggetto, tra tuorlo e albume, uniti nella stessa forma perfetta eppure distinti. Tutto è uno, finché non lo guardi».
«Come nel grembo materno», mormorò il Giocoliere, improvvisamente quieto, la sua energia frenetica trasformata in contemplazione profonda, mentre assumeva una posizione fetale accanto al fuoco per tornare embrione e avvicinarsi alle memorie di vita prenatale.
«Esattamente. O come nell’esperienza mistica, quando la scissione si dissolve e torniamo nell’Uno originario, al momento prima della nascita del tempo».
Fuori dalla tenda, il cielo notturno si illuminò all’improvviso di verdi filamenti danzanti, cortine di luce che ondeggiavano nell’oscurità come pensieri divini resi visibili.
«Guarda!», esclamò Yksi, indicando il cielo con riverenza. «Gli antichi credevano che l’aurora fosse il respiro dell’Uovo Cosmico, il pulsare della vita primordiale che ancora risuona nella memoria del mondo». Il Giocoliere schizzò fuori dalla tenda volteggiando su se stesso con le braccia allargate sotto l’aurora, in una danza di comunione con la luce celeste. Rideva e piangeva, sopraffatto dalla bellezza trascendente della natura. Estrasse un uovo dalla sua scatola di legno intarsiato e lo sollevò verso il cielo in un gesto di offerta e riconoscimento.
«Danza con me, piccolo universo!», gridò all’uovo, la sua voce si perdeva nell’immensità della notte boreale. «Danza con le tue sorelle stelle! Ricorda la tua origine nell’indifferenziato, nel sacro Uno che precede la molteplicità!».
Per un istante magico, agli occhi di Yksi che lo osservava dalla soglia della tenda con lo sguardo di chi assiste a un miracolo atteso da sempre, sembrò che l’uovo catturasse e riflettesse i colori dell’aurora come uno specchio cosmico, come se contenesse al suo interno tutto lo splendore del firmamento, tutta la danza eterna della creazione.
Il Giocoliere continuò a esibirsi sotto l’aurora per ore, instancabile come se il tempo stesso avesse sospeso le sue leggi, come se stesse comunicando con le luci del cielo attraverso il linguaggio primordiale del movimento. Solo all’alba il Giocoliere si accasciò nella neve e si addormentò con l’uovo ancora stretto nella mano sollevata verso il cielo come un’offerta incompiuta.
Il mattino seguente, Yksi trovò il Giocoliere già sveglio, intento a costruire un piccolo igloo di neve attorno a un uovo dalla tinta azzurra come il cielo all’alba. «Per tenerlo al caldo», spiegò con giocosa serietà, «ha fatto un sogno freddo stanotte, un sogno di spazi infiniti e solitudini cosmiche». Lo sciamano lo condusse su un altopiano ghiacciato dove il silenzio aveva la densità di una presenza viva.
«Questo è un luogo sacro», spiegò Yksi, «qui la membrana tra i mondi è sottile come il guscio di un uovo. Qui il visibile e l’invisibile si sfiorano, si accarezzano, a volte si fondono». Il Giocoliere annusò l’aria come un animale, poi leccò un fiocco di neve che gli era caduto sul naso. «Sì, sa di confine. I confini hanno sempre un sapore metallico, come sangue o fulmini o stelle morenti».
Il Giocoliere estrasse un uovo dalla scatola e lo tenne tra le mani, fissandolo intensamente come se stesse guardando attraverso di esso. La sua espressione cambiò, come se avesse trovato un centro di quiete nel vortice della sua esistenza, e le sue pupille si dilatarono fino a coprire quasi interamente l’iride. Il Giocoliere si alzò lentamente e iniziò a muoversi sulla neve, le braccia aperte come ali di una creatura celeste. I suoi movimenti erano fluidi, precisi, quasi solenni - una danza rituale che sembrava raccontare la storia della creazione, il passaggio dall’unità indifferenziata alla molteplicità di forme.
«Vedo l’Uovo Cosmico», disse, e la sua voce sembrava provenire da un luogo oltre il tempo. «Ha la superficie incisa con simboli e formule, come un antico manoscritto vivente, il codice genetico del cosmo».
La sua danza divenne più frenetica, i movimenti più ampi, come se stesse volando attraverso spazi e vuoti cosmici, abbracciando l’immensità con il suo corpo mortale.
«Vedo il Virata Purusha! L’essere primordiale con mille teste, mille occhi e mille braccia. Da lui emanano tutti gli elementi: fuoco dalle sue bocche, aria dalle sue narici, luce dai suoi occhi, suono dalle sue orecchie! È la totalità che si frantuma per creare la diversità, l’Uno che diventa molti per conoscere se stesso!».
Il Giocoliere continuò a narrare danzando, raccontando storie che le sue parole non potevano contenere, esprimendo verità e geometrie sacre che solo il corpo poteva incarnare. Gradualmente, i suoi movimenti rallentarono e la sua voce si affievolì fino a diventare un sussurro. Infine si accasciò sulla neve, esausto ma con un’espressione di pura beatitudine sul volto.
Yksi si avvicinò e si sedette accanto a lui, due figure minuscole sotto l’immensità del cielo artico.
«Hai visto», constatò lo sciamano.
«Non era un sogno, ma un ricordo», rispose il Giocoliere. «Il ricordo dell’origine, la memoria della nostra vera natura prima della frammentazione».
«Hai viaggiato oltre il velo», disse Yksi con rispetto profondo, come si parlerebbe a un maestro nascosto dalle vesti di un folle. «Il tuo spirito è libero come quello di un bambino».
Il Giocoliere sorrise, tornando lentamente al suo solito sé.
Nei giorni che seguirono rimase al villaggio e una sera, mentre sedeva solo presso il lago ghiacciato, scorse una figura che si avvicinava. Era una donna dai capelli argentei che fluivano fino alla vita come un fiume di luce.
«Le tue uova parlano di te», disse la donna, sedendosi accanto a lui.
«Oh, sussurro loro un segreto e subito lo spifferano all’aria! Cosa ti hanno rivelato? Che dormo con i calzini? Che dialogo con le pietre e con le nuvole?».
La donna sorrise d'un sorriso antico e solitario come la prima luna. «Mi hanno detto che sei un cercatore dell’Origine».
Il Giocoliere si abbandonò a una risata che lo fece rotolare sulla neve. «Non cerco nulla, ma trovo cose che non sapevo di aver perso!». Si rimise seduto, e il suo volto mutò come cambia il cielo all’improvviso. «Chi sei? Profumi di radici».
«Mi chiamano con molti nomi», rispose lei, «Madre, Matrix, Materia. Sono la Mater, la fonte originaria di tutte le cose, quella da cui tutto emerge e verso cui tutto ritorna».
Il Giocoliere la guardò, i suoi occhi si fecero attenti come quelli di un bambino che scorge per la prima volta il proprio riflesso nell’acqua. «La parola “materia” deriva da “mater”, madre», continuò la donna, «io sono la conoscenza simbolica, l’unità che si attesta in ogni simbolo».
La donna estrasse poi da una borsa di pelle un piccolo oggetto e lo porse al Giocoliere. Era un ciottolo di fiume perfettamente ovale, liscio come il pensiero prima della parola.
«La terra ha maternamente partorito ogni cosa», disse, «e la terra riprende di nuovo nella sua oscurità tutto ciò che è nato».
Il Giocoliere fece scorrere il ciottolo tra le dita, saggiando la storia narrata dalle venature minuscole. Poi, con un gesto che sfuggiva alla logica ma obbediva a una profonda necessità, se lo mise in bocca. La donna non batté ciglio, come se quel gesto fosse l’unico possibile. Dopo un momento di contemplazione, il Giocoliere sputò il ciottolo sulla mano aperta.
«Sa di eternità», dichiarò. «Con un retrogusto di temporalità e una nota di infinito che persiste sul palato come un ricordo non ancora vissuto».
«Oggi è il quattordicesimo giorno del ciclo lunare», disse la donna, alzando lo sguardo verso la luna piena che si rifletteva sul lago ghiacciato come un occhio che osserva se stesso.
«Il ciclo della luna! Nasce, cresce, muore e rinasce, sempre la stessa eppure mai identica», rifletté il Giocoliere, e le sue parole si trasformarono in vapore nell’aria fredda.
«L’uovo è il simbolo perfetto di questo ciclo eterno. Contiene in sé la polarità della vita: è immobile eppure gravido di movimento potenziale, è finito eppure racchiude l’infinito nelle sue curve perfette».
La donna si alzò con un movimento fluido come l’acqua che si fa strada tra le rocce, e prese un uovo dalla scatola del Giocoliere. Lo sollevò verso la luna e per un istante sembrò che i due si riconoscessero.
«Gli esseri umani hanno privato le cose della loro aura, della loro componente materna», disse, «hanno ridotto l’uovo a una cosa tra le cose, dimenticando che ogni cosa è un mistero che si manifesta».
Lanciò l’uovo in aria. Il Giocoliere, per riflesso o per destino, si alzò e lo afferrò prima che cadesse, in un movimento che sembrava scritto da sempre.
«Ma tu», disse la donna, e il suo sorriso era come una benedizione, «tu sai vedere l’aura delle cose. Sai che l’uovo non è solo un guscio che contiene un tuorlo e un albume, ma un’immagine primordiale che porta in sé il mistero dell’origine, come una memoria che precede la nascita».
«Cosa devo fare per comprendere questo mistero?», chiese il Giocoliere.
«Cerca l’Uovo Zero», rispose la donna, «quello che precede persino il tempo».
«Dove posso trovarlo?», domandò il Giocoliere.
La donna indicò l’Est, verso la promessa dell’alba. «Segui il sole nascente fino al luogo dove le lettere A, U e M si fondono nel suono primordiale dell’Om. Lì, nel silenzio, troverai l’Uovo Zero, quello che era già quando il nulla non era ancora».
La donna si allontanò, svanendo nella notte come se fosse stata solo un sogno del mondo addormentato.
Il Giocoliere lasciò il villaggio con la prima luce del giorno, viaggiò verso Est, attraversando foreste di segreti antichi. Dopo mesi di cammino, o forse anni, giunse a una valle nascosta tra alte cime. Al centro della valle sorgeva un piccolo tempio di pietra, antico come la prima domanda mai posta. All’interno vi trovò un uomo seduto in meditazione, immobile come se fosse cresciuto dalla terra stessa. Era completamente calvo, con la pelle come una pergamena antica e indossava una veste color zafferano che sembrava catturare e rilasciare la luce in un respiro lento. L’uomo aprì gli occhi quieti all’ingresso del Giocoliere.
«Benvenuto, cercatore dell’Uovo Zero», disse l’uomo con voce serena.
«Come fai a sapere cosa cerco?», chiese il Giocoliere, che non si sorprendeva più di queste conoscenze misteriose che sembravano precederlo ovunque andasse.
«Perché è ciò che tutti cercano, consciamente o inconsciamente», rispose il monaco. «È la fame primordiale. Siediti con me nel centro del cerchio che non ha centro».
Il Giocoliere si sedette di fronte al monaco, che iniziò a recitare con voce melodiosa: «Le tre lettere A, U e M sono i componenti dell’Om, il suono primordiale che fu pronunciato prima della parola. La A esiste allo stato di anda, “uovo”, nel Visva e come pinda, “principio componente del corpo”, nel Virata Purusha. È rossa come il sangue del desiderio ed è collegata con Brahma, il creatore che sogna i mondi», spiegò il monaco tra un canto e l’altro. «La lettera U è bianca come la neve intatta e collegata con Vishnu, il preservatore che sostiene il respiro dei mondi. La lettera M è nera come il ventre della notte e collegata con Rudra, il distruttore che riporta tutte le forme al loro stato informe».
«Il Virata Purusha che ho visto nella mia visione», mormorò il Giocoliere, e un brivido di riconoscimento attraversò la sua spina dorsale come un serpente di luce.
«Non era solo una visione, ma un ricordo», disse il monaco, «un ricordo dell’origine, del momento prima della separazione, quando l’Uno non si era ancora frammentato nel molteplice».
Il monaco prese le mani del Giocoliere tra le sue. «Chiudi gli occhi e ascolta. L’Uovo Zero non è un oggetto da trovare, ma uno stato da raggiungere. È la coscienza pura prima di ogni differenziazione, prima della scissione tra soggetto e oggetto, tra osservatore e osservato, quando tutto era ancora possibile e nulla era ancora necessario».
Il Giocoliere chiuse gli occhi, e il monaco iniziò a cantare il suono Om, lungo e profondo come se nascesse dal centro della terra. A ogni ripetizione, il Giocoliere sentiva un calore e un formicolio irradiarsi nel suo corpo che diventava via via più leggero, così come la sua coscienza diventava schiuma, per poi dissolversi nella luce stessa.
Il canto continuò, si fece più intenso fino a diventare una presenza fisica nella stanza, e il Giocoliere sentì la sua mente disgregarsi, come un guscio che si rompe per liberare la vita al suo interno. Non c’era più differenza tra lui e il monaco, tra interno ed esterno, tra passato e futuro. C’era solo il presente eterno, l’Uovo Zero che contiene tutte le possibilità, il punto di origine dove tutto converge e da cui tutto emerge. Il Giocoliere finalmente comprese. L’Uovo Zero non era altro che la pura consapevolezza, il testimone silenzioso di tutte le forme e le trasformazioni, ciò che rimane quando tutto il resto svanisce, il fondo immobile del pozzo dell’essere. Quando riaprì gli occhi, il sole stava tramontando, tingendo di rosso le montagne circostanti come se il cielo sanguinasse colore.
«Hai trovato ciò che cercavi?» chiese il monaco, e la domanda tracciò la strada del ritorno.
Il Giocoliere annuì, e quel movimento sembrava contenere l’essenza di tutte le sue ricerche. «L’Uovo Zero è qui», disse toccandosi il centro del petto, come a indicare geograficamente una verità.
«Cosa farai ora?», chiese il monaco, e nella domanda vibrò il mistero della libertà.
Il Giocoliere guardò la sua scatola di uova e vide in esse non solo oggetti da manipolare, ma simboli viventi di una realtà più profonda. «Tornerò nel mondo e continuerò a giocolare con le mie uova. Continuerò così a ricordare al mondo la sua origine, il momento in cui tutto era ancora potenziale puro e ogni possibilità dormiva nel grembo del nulla».
Il monaco sorrise.
Quando il Giocoliere fece ritorno alla città, la primavera era sbocciata. Le piazze si schiudevano in un respiro di petali, in un risveglio di anime che emergevano dalle tane invernali, corpi assetati di luce dopo la lunga notte fredda. Il Giocoliere riprese a danzare con le sue uova, i bambini furono i primi a riconoscerlo: «Le tue uova brillano!», esclamavano indicando con dita piccole e sicure i gusci che catturavano la luce. «È l’aura», sussurrava il Giocoliere, e il suo sorriso era esso stesso un uovo che si schiudeva. «Ogni cosa possiede la propria aura, ma non tutti gli occhi possono scorgerla».
Un giorno nel silenzio della sua stanza che sembrava espandersi fino a ingoiare intere galassie, il Giocoliere prese l’uovo più prezioso: nero come il vuoto primordiale a prima vista, ma quando lo si guardava in controluce rivelava un cosmo di minuscoli punti luminosi, universi nascenti, possibilità infinite sospese nel nulla.
«L’Uovo Zero», mormorò, e le parole stesse sembrarono materializzarsi nell’aria. Le sue dita lo fecero roteare, danzare. Con un movimento che nasceva dal centro stesso della vita, lo lanciò verso l’alto. E l’uovo per un istante si fermò, sospeso tra il qui e l’altrove. In quel frammento d’eternità, il Giocoliere comprese che la sua vera arte non era mai stata il controllo, ma l’abbandono. Non il dominare le leggi della fisica, ma il dissolversi in esse. Non il possedere la conoscenza, ma l’essere posseduto, attraversato. Proprio come insegna l’uovo nel suo silenzio eloquente, tutto ciò che viene al mondo deve prima arrendersi alla necessità di frantumarsi.
Un ricordo vecchio quanto il ricordo dell’origine attraversò gli occhi del Giocoliere - amore, un lampo di tenerezza pura che per un attimo sospese il suo incantesimo di equilibri impossibili. Ondeggiò abbandonandosi a quella forza che precede le sue mani sapienti e muove sistemi e astri. Amore che risorge in primavera, dal guscio fragile che racchiude l’infinito, capace di rompersi e ricrearsi nell’istante seguente. Due uova caddero: una si infranse sul selciato con un suono che pareva l’origine stessa del mondo, emozione che travolge ogni calcolo; l’altra rimase stretta nel palmo della sua mano, testimone muta delle contrazioni del suo cuore. La terza continuava a volteggiare nell’aria, sospesa nel tempo come l’eco di un bacio che non inizia e non finisce mai, sempre sul punto di accadere, che nasce e rinasce eternamente nel lancio perfetto.