L’incantatore putrescente

Elena Franco, Foresta, opera digitale, collezione privata dell’autore.

Ciò che sappiamo è che l’incantatore è stato ingannato – la disgrazia è che ne sia morto. 

Ed è stata proprio lei, la fatale Dama del Lago, a ucciderlo con i segreti che egli stesso le aveva rivelato. L’incantatore Merlino, chiuso per sempre in una tomba nascosta, comincia a conoscere un lento e cosciente declino. Nonostante la sepoltura, non muore. Il suo corpo si decompone lentamente, i suoi tessuti si disintegrano, le sue membra si dislocano – ma la sua parola rimane in vita. Continua a parlare, così debolmente che nessuno può sentirlo: “Sono morto e ho freddo”, mormora piano. L’incantatore putrescente di Guillaume Apollinaire (a cura di Alessandro Bernardini, edito da Nino Aragno Editore) rivela tutto il talento barocco dell’autore e ci immerge in un’odissea poetica di immagini allucinate, paesaggi onirici e paludi surrealiste. 

Un’orda di parassiti si nutre del suo cadavere, una fauna magica e ammaliante, demoniaca e affascinante di personaggi mitologici, di rospi, serpenti, corvi e mostri, con le loro parole umane e le loro umane crudeltà, sfila davanti al sepolcro. È l’ora della putrefazione. Natale funerario. 

Questo ciò che dicono.

«“[…] Ho stregato il vecchio incantatore traditore e sleale ed ecco che le inevitabili primavere e la danza inevitabile dei piccoli flutti mi sottometteranno e mi incanteranno, me, l’incantatrice. In questo modo, tutto ha giustizia nell’universo: il vecchio incantatore traditore e sleale è morto e, quando sarò vecchia, la primavera e la danza dei piccoli flutti mi faranno morire”. Ora, l’incantatore era steso morto nel sepolcro, ma la sua anima era viva e la voce della sua anima si fece ascoltare: "Dama, perché avete fatto tutto questo?" La dama trasalì, poiché era proprio la voce dell'incantatore a uscire dalla tomba, una voce inaudita. Siccome era ignara della sua natura, la dama credette che non fosse ancora morto. […] 

“Sono morto! Vattene adesso, perché il tuo ruolo è finito, hai danzato bene”».

 

Elena Franco, Sussurro, opera digitale, collezione privata dell’autore.

 

 IL CORVO

Una è viva, l’altro è morto. Il mio becco non può squarciare la pietra, ma sento comunque un odor di cadavere. Tanto peggio, sarà tutto per i pazienti vermi. Sono davvero malvagi coloro che fabbricano le tombe. Ci privano del nostro nutrimento, e per di più i cadaveri non sono per loro di alcuna utilità. Dovrei aspettare che sia morto? No, avrei il tempo di morire io stesso di fame, e la mia covata attende la beccata. So dov’è Merlino, ma non mi interessa più. Alle porte delle città muoiono incantatori che nessuno sotterra. I loro occhi sono buoni e cerco i cadaveri di buoni animali; ma il mestiere è difficile, perché gli avvoltoi sono più forti, quegli esseri orribili che non ridono mai, così sciocchi che non ne ho mai sentito uno pronunciare parola. Mentre noi, buoni viventi, ci si catturi pure, purché ci si nutra bene e ci si insegni volentieri a parlare, anche in latino.

[…]

LA VOCE DELL’INCANTATORE MORTO

Sono morto e freddo. Ma i tuoi miraggi non sono inutili ai cadaveri; ti prego di lasciarne una buona scorta vicino alla tomba a disposizione della mia voce. Che ce ne siano di tutti i tipi: di ogni ora, di ogni stagione, di ogni colore e di ogni grandezza. Ritorna al castello Senza-Ritorno, sul monte Gibel. Addio! Divertiti e proclama la mia fama quando i naviganti passeranno lo stretto sui loro vascelli. Proclama la mia fama, poiché tu sai che fui un incantatore profetico. Per molto tempo la terra non ne ospiterà più, ma il tempo degli incantatori tornerà.

[…]

COVATA DI SERPENTI

al margine della foresta

Chi è dunque che ulula così pietosamente? Non è un uccello notturno. La voce è più che umana. Ma che importa! Noi ci siamo eretti e abbiamo guardato nell'aria fischiando. Se questa truppa bicornuta potesse interrogare la donna che ulula, costei attesterebbe di certo la nostra origine paradisiaca. Noi l’abbiamo vista, colei che ulula, era nel paradiso terrestre quando anche noi eravamo lì. Fischiamo, cerchiamo colui che ci ama, che è della nostra razza e che non può morire.

 IL FALSO MELCHIORRE

dal capo negro color pelle di elefante


Giuramenti da sua madre violati!

Caduta di capi mozzati!

Falsi dei magici! Nessuno stupore,

soltanto un’ombra sulla terra!

[…]

LA VOCE DELL’INCANTATORE MORTO

Sono morto e freddo. Fate, andatevene; colei che amo, che è più sapiente di me e che per me non prova nulla, veglia ancora sulla mia tomba circondata da bei doni. Andatevene. Il mio cadavere imputridirà presto e non voglio che voi possiate mai rimproverarmelo. Sono triste fino alla morte e, se il mio corpo fosse vivo, suderebbe un sudore di sangue. La mia anima è triste fino alla morte a causa del mio Natale funerario, questa drammatica notte in cui una forma irreale, ragionevole e perduta è stata dannata al mio posto.

[…]

Elena Franco, I bicorni, opera digitale, collezione privata dell’autore.

GLI SCORPIONI

Noi anche ce ne andremo. Il nostro scopo è un altro, morire volontariamente, ma non come muoiono le sfingi. Moriremo per nostra volontà. Non confidiamo nel suicidio, lo pratichiamo all’occasione, quando ci piace. Addio.

L’INCANTATORE PUTRESCENTE

Fischio, richiamo umano fin dalle origini, tu riunisti le prime popolazioni. Fosti la causa delle prime schiere. Il cavaliere aveva buona memoria, si è ricordato del fischio originale. Ecco il male. Antico fischio, tu compi oggi la mia putrefazione. Mio corpo, mio povero corpo, è bene che tu marcisca sotto terra. Le tombe sono più sincere delle urne, ma occupano troppo spazio. Bestie impazzite, allontanatevi dal Behemoth senza origine e fate un fuoco, vi dico, cercate del fuoco, trovate del vero fuoco e poi, se per buona sorte sarete riuscite a rubarne un po’, bruciate i cadaveri. Su, bestie, la folle ora è passata; ora comincia il gioco propriamente detto. Chi morirà per primo? Povere bestie dagli occhi tristi, separatevi, c’è ancora tempo, cessate il gioco mortuario di cui nessuno gode se non Behemoth.

L’INCANTATORE 

Quando il frutto è maturo, si stacca e non aspetta che il giardiniere venga a coglierlo. Così faccia l’uomo, il frutto che maturò libero sull’albero della luce. Ma voi che non moriste, che siete sei nella foresta, come le dita della mano e un pugnale nella mano, che cosa non stringerete, che cosa non risponderete? Oh dita che potreste frugare; oh pugno che potrebbe pugnalare; oh mano che potrebbe battere, che potrebbe indicare, che potrebbe raschiare la putrefazione. Antidiluviano! Ermafrodita! Ebreo errante! Vulcanico! Mago! Verginello! Voi non siete morti, voi siete come le dita della mano e un pugnale nella mano, non agite voi come la mano che pugnala? Ahimè! È troppo tempo che non siete immortali.

[…]

LA DAMA DEL LAGO

Nessun uomo può amarci, perché tutte noi siamo di un'altra era, troppo antica o ancora da venire. Gli uomini ci prendono tutti per dei fantasmi; che fare con i fantasmi? Si domanda loro delle predizioni, se ne ha paura, poi dopo un po' di tempo si prova a prenderli.

Ahimé! Come afferrare un fantasma? Fossero anche sei uomini, non prenderebbero un fantasma. E per questo, per questa mancanza di tatto, che noi siamo senza amore, senza amicizia. Ciò che ci affatica è essere considerate dei fantasmi, tutt'al più buoni a predire. Il parto è la nostra migliore predizione, la più esatta e la più nostra. Gli uomini lo sanno. Il vero torto del diavolo, dell'incantatore e di tutti gli uomini è di crederci dei fantasmi, di trattarci come fantasmi, noi che non siamo che lontane, ma lontane in avanti e indietro, per cui l'uomo è al centro del nostro distacco; lo circondiamo come un cerchio. Non si afferra la primavera, si vive in lei, al centro del suo distacco, e non la si chiama fantasma, la bella primavera fiorita. L'uomo dovrebbe vivere in noi come nella primavera. Non ha sempre la primavera, ma ha sempre noi: un incantesimo, la diavolessa o la libellula. Al posto di questa vita al centro del nostro distacco, preferisce cercare di afferrarci affinché ci si ami l'un l'altro.

L’INCANTATORE

Dama che amavo, a chi doni i tuoi simboli nella foresta dove io solo ti ascolto? Tu parli dell’uomo, parli di quella schiera mal custodita che se ne va verso il sole. Che dirò io della donna, questa primavera inutile per il branco dei porci e il suo guardiano, dal momento che, in primavera, il suolo sotto le querce non è cosparso di ghiande?

[…]

Elena Franco, Si unirono, opera digitale, collezione privata dell’artista.

LA DAMA DEL LAGO 

Che gioia! Ti sento ancora, mio amato, che sapeva tutto ciò che io so. 

L’INCANTATORE

Oh te che amavo, non parlare invano. La donna e l’uomo non si assomigliano e i figli assomigliano loro. Ma noi ci assomigliamo, perché ho appreso tutto, tutto ciò che mi assomiglia. Noi ci assomigliamo e non abbiamo dei figli che ci assomigliano. Oh te che amavo, tu mi assomigli. Noi ci assomigliamo, ma l’uomo e la donna non si assomigliano. Lui, è un gregge con il suo pastore, è un campo con il suo mietitore, è un mondo con il suo creatore. Lei, è la primavera inutile, l’oceano mai calmo, il sangue sparso. Oh te che amavo, tu che mi assomigli, tu assomigli anche a tutte le altre donne. La donna, seduta sulla tiepida tomba dell’incantatore, sognava la primavera che sfioriva per finire. 

L’INCANTATORE

Oh te che amavo, conosco tutto ciò che mi assomiglia e tu mi assomigli; ma tutto ciò che ti assomiglia non mi assomiglia. Oh te che amavo, ti ricordi del nostro amore? Perché tu mi amavi! Ti ricordi delle nostre tenerezze che erano estate durante l’inverno, ti ricordi? Piangevo alle tue ginocchia, d’amore e di tutto il sapere, perfino la mia morte, che a causa tua custodisco, a causa tua che non potevi sapere niente. Nel tempo della mia vita per il nostro amore, io pensavo a te, anche durante le più terribili crisi d’epilessia. Oh te che amavo e per cui i vermi, dalla mia nascita, oh tempi del midollo fetale, pazientarono, dimmi la verità...

Introduzione e selezione degli estratti di Arlindo H. Toska. Si ringrazia Nino Aragno Editore per l’autorizzazione alla pubblicazione.

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Note sulla pittura di Lorrain