Note sulla pittura di Lorrain

I paesaggi di Lorrain sono spesso ridotti all'onirismo di un'Antichità immaginata, di cui la natura costituirebbe l’ambiente e il tema fondamentale – non come materia osservata, ma come bellezza ideale, cingendo e penetrando da parte a parte gli uomini e i loro luoghi (così dicono i cenni storici, i libri, ecc.); certo, una grande armonia e una profonda calma sembrano qui proteggere il mondo.

La sicurezza (che non ha niente a che vedere, al pari di un muro, con il ripiegare, ma anzi allude a un’apertura luminosa) non emerge però come impulso principale, e non credo possa essere presa come fondamento, ancor meno come origine. In questo caso, infatti, la natura non è più la natura delle cose, ma piuttosto (e in una maniera del tutto moderna) il polo delle istanze non umane. La particolarità dei dipinti di Lorrain risiede innanzitutto nel fatto che il motivo vegetale (o bestiale), spesso scuro e in controluce, costituisce una superficie su cui si innesta (per stabilirlo a sua volta) un soggetto. Gli alberi neri formano uno sfondo da cui si stagliano, nella distesa, dei personaggi maldestramente eseguiti, figure instabili, in situazioni di passaggio (i numerosi Paysage avec la fuite en Egypte sono esemplari a questo proposito, ma il motivo del trasporto ricorre sempre, anche quando il tema non sembra richiederlo: Ézéchiel pleurant sur les ruines de Tyr, Vue imaginaire de Tivoli, ecc).

Victor Ausländer, senza titolo, 2021, tecniche miste, dimensioni variabili, collezione dell'artista.

Quest’inquietudine nelle figure è stata talvolta espressa nei termini di una concezione esistenziale dell'uomo: erranza, tragedia, idee forse vicine a quelle di Pascal. Il contesto di quest'arte, la sua lettura (peraltro dubbia) come nostalgia dell'Antichità, rafforza senz’altro simili interpretazioni, che contraddicono immediatamente il senso armonioso delle opere e gli prediligono l'elegia. Ma c'è armonia così come c’è precarietà. La nostalgia evocata sembrerebbe sciogliere questa contraddizione, tuttavia non è il rimpianto di un'epoca conclusa a risolverla: non siamo ancora nel Romanticismo (anche trattandosi di un ricordo antico – Leopardi è infatti lontano, l'Antichità rimane un modello; la Città, la comunità, un rifugio, non solo semplici reminiscenze), ma, soprattutto, accordo e dissonanza si presentano sulla stessa tela, nello stesso momento.

Dall'assenza di profondità, un’incrinatura (un varco?) innesca il movimento: il Paysage avec satyre dansant et figures colloca l’elemento selvatico sotto le rovine del tempio e la notte dell'edera, mentre al centro del quadro, tra cielo e mare, la più umana delle strutture (un ponte) è immersa nella luce – l'animalità rimane in ombra, e il sole tocca l'uomo che da questa è accompagnato.

Si tratta di un insieme che non è natura, ma che contrappone l'umanità alla natura, una totalità che può essere chiamata campagna; una visione dell'uomo di cui la natura non è il modello, né l'altro assoluto del sublime, ma, fin nelle tinte rispettive, il negativo (originario). Per coglierne il significato, dunque, occorre situare questo tipo di pittura secondo la sua tendenza – e non secondo il contesto: non è e non può essere, come quella di Poussin (a cui viene spesso accostata), un'arte propriamente d’Ancien Régime (ovvero appartenente a un mondo in cui ogni cosa ha un posto e resta al suo posto), poiché l'immutabilità, pur essendo eternamente presente, viene qui contraddetta. Essa realizza, piuttosto, una pratica della storia.

Niente, senza dubbio, mette a confronto ordine e instabilità meglio della danza. In Poussin, piena di ebbrezza (come nel Bacchanale devant un terme o nel Triomphe de Pan), essa obbedisce alla metrica barocca: il dipinto, lungi dall'inscrivere l’apertura e la durata nell'indeterminato, eternizza una visione che non può avere seguito se non nella ricomparsa di un punto identico. Ogni figura, fino a trovarsi dotata di una tonalità corrispondente alla porzione di scenario che la circonda, è necessaria, nella sua data posizione, per l'equilibrio dell'insieme.

Victor Ausländer, senza titolo, 2020, inchiostro su carta, 24 x 36 cm, collezione dell’artista.

La pittura non esprime qui un momento capace di prolungarsi o alterarsi, ovvero divenire, in modo da produrre significato: un gesto differente, il risveglio della pesantezza, l'istante stesso che succederebbe alla sospensione presente, spezzerebbero il valore – interamente concentrato nella sua astrazione – della scena. Qui, cambiamento significa assenza di composizione, caos – fino al luogo, nella cerchia, del ritorno, unico luogo significante. Gli uomini (appena umani, feroci) partecipano alla fissità del tutto, il cui ordine è senza alternative: sono esclusi dalla libertà, e si trovano del resto in una situazione di obbedienza (all'estasi, all'appetito; così come la musica barocca è ripetitiva, Poussin dipinge girotondi e immagini di oblio).

In Lorrain, invece, la danza è fatta di esitazioni, resistenze e pigrizie. Anche la figura che tiene per mano il satiro sembra frenare il gesto coinvolgente del semidio, tentata forse, ma diffidente nei confronti dell'abbandono, di questo altro da sé a cui è legata; il Paysage avec danse de paysans (da notare il titolo, la cui associazione non potrebbe essere più profonda: il paesaggio non è opera della natura, né del pittore, ma, innanzitutto, del contadino), mostra ancora degli esseri pallidi nell'ombra degli alberi, figure che, quando suonano e cantano, sembrano ascoltarsi, dubitare, quasi deliberare, e che, quando danzano, lo fanno con modestia, autocontrollo – sempre sotto il segno del ponte.

Poussin, abbracciando l'ampiezza del dipinto, confina la danza all'interno della cornice, senza sfondamenti: un abisso.

Lorrain, piuttosto che dei girotondi, mostra un passo cosciente di sé, indeciso, diretto verso il primo piano o l'orizzonte: la danza si dispiega in profondità, vicino alla sua sorgente, che sia in cammino o a cavallo – va, tende, e si presenta come un'arte della durata, della linea.

Se in questo percorso ciò che chiamiamo superficie o provenienza costituisce un compagno necessario, lo è solo come un'ombra portata. L'oblio non è che una possibilità, disponibile e al contempo tenuta a distanza, e dicibile solamente dalla luce che la definisce e che circonda, a sua volta, la notte da cui sorge.

Tra i complessi dalle sembianze eterne, le instabilità: traversate, fragilità, prudenze – l'elemento naturale difficilmente costituisce una sorta di armonia in grado di sprigionarsi sull'uomo. Questa è piuttosto il frutto di un conflitto: la rivolta dell'essere vulnerabile, contro la sua nascita e il suo padrone, consacra una totalità ampia e luminosa. Ciò che, come accordo, deve operare un felice ritorno sull’uomo non può pertanto, di per sé, che essere un risultato.



Traduzione dal francese di Alessandro Bernardini.

Victor Ausländer

La ricerca di Victor Ausländer si concentra sul rapporto dell'uomo con la natura. I temi del paesaggio, della parola e del lavoro sono colti come momenti chiave di un'antropologia. Godendo di una doppia formazione, pratica (arti visive) e teorica (storia dell'arte e poi filosofia), oscilla tra approcci visivi e discorsivi.

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L’incantatore putrescente

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