Alain Badiou sulla politica dell’Evento di Nietzsche

Alain Badiou, noto filosofo europeo, ha dedicato negli anni ‘90 quattro seminari sul tema della ‘anti-filosofia’, il primo dei quali dedicato a Nietzsche. Per Badiou, Nietzsche pone in primo piano l’assoluta necessità affermativa dell’atto ovvero dell’Evento. Esso è un atto che deve ‘spezzare in due la storia dell’umanità’. Esso è un atto istituente puro, chiamato da Badiou ‘archi-politica’. Badiou  elogia ma anche critica la paradossalità di questa concezione della politica in questa traduzione del riassunto del seminario.

Articolo originariamente apparso su http://blogs.law.columbia.edu/nietzsche1313/files/2016/11/WhoIsNietzschePLI11.pdf

 A cura e traduzione di Lorenzo Esposito

Qual è il vero centro del pensiero di Nietzsche? O meglio: che cosa intende Nietzsche per “filosofia”?
Sono convinto sia essenziale comprendere che, per Nietzsche, la “filosofia” non è un’interpretazione, non è un’analisi, non è una teoria. Quando la filosofia è interpretazione, analisi o teoria, in realtà non è altro che una variante della religione. È dominata dalla figura nichilista del prete. Nell’Anticristo, Nietzsche dichiara che il filosofo è “il criminale dei criminali”. Dovremmo prendere sul serio questa dichiarazione.
Nietzsche non è un filosofo, è un anti-filosofo. Questa espressione ha un significato preciso: Nietzsche oppone, al nichilismo speculativo della filosofia, l’assoluta necessità  affermativa dell’atto. Il ruolo che Nietzsche assegna a se stesso non è di aggiungere una filosofia ad altre filosofie. Piuttosto, il suo ruolo è di annunciare e produrre un atto senza precedenti, un atto che a tutti gli effetti distrugga la filosofia.
Annunciare l’atto, ma anche produrlo: questo vuol dire che Nietzsche l’anti-filosofo è letteralmente aldilà di se stesso. Questo è precisamente ciò che dice nel passaggio di Così Parlò Zarathustra intitolato : “ Della virtù che rende meschini”. Nietzsche si presenta come proprio precursore:

«In mezzo a questa gente io sono il precursore di me stesso, il mio stesso canto del gallo per vicoli bui.»

Dunque ciò che avviene in filosofia è ciò a cui il filosofo testimonia. O,più precisamente: l’atto  filosofico è ciò che la filosofia, che nondimeno coincide con esso, può solo annunciare. Immediatamente, ci troviamo al cuore della nostra indagine su Nietzsche. Perché la sua unicità risiede totalmente nella sua concezione dell’atto filosofico. O, per usare il suo linguaggio, nel concetto del potere della filosofia. Ovvero, dell’anti-filosofia.
In che cosa consiste questo potere e questo atto?
È l’incapacità di porre questa domanda al principio di qualsivoglia analisi su Nietzsche che sia Heidegger che Deleuze mancano parzialmente la sua assoluta unicità, essa è ciò che infine simultaneamente compie e abolisce se stessa sotto il nome di follia.
Deleuze inizia il suo libro, Nietzsche e la Filosofia, con la dichiarazione: “ il progetto generale di Nietzsche è l’introduzione del concetto di senso e valore nella filosofia”. Ora, io credo che l’atto filosofico per  Nietzsche non abbia la forma di un progetto o un programma – ma piuttosto, come detto nel libro di Sarah Koffman, di un’esplosione. Nemmeno è una questione per Nietzsche -del creare concetti. Dato che il nome dell’evento filosofico non può essere altro che una figura, in ultima analisi dunque un nome proprio. Il Proprio dell’evento destituisce il comune del concetto. Il pensiero filosofico di Nietzsche è dato in una rete primordiale di sette nomi: Cristo, o il Crocifisso, Dioniso/Arianna, San Paolo, Socrate, Wagner, Zarathustra, e infine il più oscuro di tutti I nomi, “Nietzsche”, che ricapitola tutti gli altri.
Ovviamente, Deleuze è consapevole di questi nomi, il cui senso cerca di interpretare. È possibile, ed egli lo fa con virtuosismo, leggere in questa serie di nomi la  codificazione di differenziali di potenza, e analizzare questi attraverso il rapporto tra l’attivo e reattivo.
Ma facendo così, la rete dei nomi propri è ricondotta al comune del senso, e Nietzsche è riassorbito nel flusso dell’interpretazione. Cosa viene meno nella lettura forte di Deleuze è questo: è tramite l’opacità del nome proprio che Nietzsche costruisce la sua categoria di verità. Questo è invero ciò che permette all’atto vitale la sua dimensione insensata, o invalutabile.
L’ultima parola di Nietzsche non è il senso, ma l’invalutabile.
Il nome comune dell’atto supremo, quello che mette fine alla soggiogazione Cristiana,  è “il rovesciamento di tutti I valori” o la trasvalutazione  di tutti I valori. Ma il rovesciamento di tutti I valori non ha in se un valore. È sottratto alla valutazione. Sicuramente, si tratta della vita stessa contro il nichilismo, solo che, come dirà Nietzsche nel Crepuscolo degli Idoli, ed è un assioma decisivo:

«Il valore della vita non può essere stimato.»

Per comprendere Nietzsche, bisogna  dunque focalizzarsi sul luogo dove la valutazione, I valori, e il senso vengono  meno di fronte alla prova posta dall’atto. Dunque nel luogo dove non si tratta più di valore o di senso, ma di ciò che attivamente li sorpassa, ciò che la filosofia ha sempre chiamato “verità”.
A mio giudizio questo è ciò che non comprende Heidegger quando pensa che il programma del pensiero di  Nietzsche sia l’istituzione di nuovi valori.  Sappiamo che Nietzsche considera I vecchi valori  come un trionfo della volontà del nulla. Essi esistono  in virtù del principio che è per Nietzsche il supremo principio, ovvero che l’uomo preferisce volere il nulla, piuttosto che non volere affatto. Per Heidegger, Nietzsche, rovesciando I vecchi valori, proponendo il meriggio dell’affermazione contro la volontà del nulla, si propone di superare il nichilismo. Ora, Heidegger dice che facendo così, volendo superare il nichilismo, il pensiero di Nietzsche si separa dalla  essenza  stessa del nichilismo, che in realtà non è la volontà del nulla. Questo perché per Heidegger, se il nichilismo fosse la volontà del nulla, sarebbe intelligibile nella sua essenza a partire dalla figura metafisica  del soggetto. Ma in verità il nichilismo non è una figura del soggetto; il nichilismo è la storia del rimanere-assente dell’essere stesso come storicità. Il nichilismo è una figura storica dell’essere.  È questo ciò che rimane nascosto nel programma del pensiero Nietzschiano, che consiste nel superamento del nichilismo. Come dirà Heidegger: “la volontà di superare il nichilismo [che attribuisce a Nietzsche] non conosce se stessa, perché esclude se stessa dalla vera essenza del nichilismo, ovvero la storia del rimanere-assente dell’essere e così proibendo a se stessa  di comprendere cosa sta facendo.”
Ma Nietzsche sta veramente ignorando  ciò che sta facendo? Siamo così riportati alla questione dell’atto. Dobbiamo chiederci se questo atto Nietzschiano rappresenti se stesso come un superamento, tramite la figura  metafisica del soggetto. Mi sembra che ci sia qui, da parte di Heidegger, una critica che Hegelianizza Nietzsche prima di giudicarlo. Perché sono convinto che per Nietzsche l’atto non è un superamento. L’atto è un evento. E questo evento è una rottura assoluta, il cui misterioso nome proprio è Nietzsche.
È a questo rapporto tra un atto senza concetto o programma e un nome proprio, un nome proprio che è il proprio solo per caso, che bisogna riportare il famoso titolo di una delle sezioni di Ecce Homo: “Perché sono un Destino.” Sono un destino perché, fortuitamente, il nome proprio “Nietzsche”  riesce a legare  la propria opacità a una rottura senza programma o concetto.

 «Sono abbastanza forte da spezzare la storia dell’umanità in due parti.» (Lettera a Strindberg dell’8 dicembre 1888)

 «Concepisco il filosofo come un esplosivo terrificante di fronte a cui tutto è in pericolo.» (Ecce Homo)

L’atto anti-filosofico di Nietzsche, di cui è allo stesso tempo profeta, produttore, e nome, mira a niente meno che a spezzare in due la storia del mondoDirei che questo atto è archi-politico, in quanto intende rivoluzionare l’umanità intera a un livello più radicale che quello dei calcoli politici.  Per Archi-politica non si intende designare  il compito filosofico tradizionale del trovare un fondamento alla politica. La logica qui, è una logica di rivalità, e non di importanza fondazionale. È l’atto filosofico stesso a essere archi-politico, nel senso che  la sua esplosione storica mostrerà retroattivamente, in un certo senso, che la normale rivoluzione politica non è stata genuina o autentica. Ne consegue che nella archi-politica Nietzschiana la geopolitica è a volte rivendicata e validata, e a volte disprezzata, in un’oscillazione caratteristica. In una bozza di una lettera a Brandes del Dicembre 1888, Nietzsche scrive:

«Io preparo un evento che con estrema probabilità spaccherà la storia in due metà, fino al punto che avremo una nuova cronologia: a partire dal 1888 come anno Uno.»

Qui Nietzsche propone un’imitazione della rivoluzione Francese. Include, come una fondamentale determinazione della filosofia, la parola “politica”. Inoltre, questa imitazione andrà fino ad includere immagini del Terrore, che Nietzsche adotterà senza esitazioni. Ciò è testimoniato da molti testi. Citiamo la lettera a Franz Overbeck del 4 gennaio 1889, dove Nietzsche dichiara:

«Farò fucilare tutti gli antisemiti.»

Dall’altro canto, nella lettera a Jean Bourdeau del 17 dicembre 1888, la parola politica è soggetta a critica:

«Nei miei scritti è presente una sentenza rispetto a cui la politica contemporanea non potrà sembrare altro che un mero errore di calcolo.»

E, in una bozza di una lettera per Guglielmo II, Nietzsche scrive:

«Il concetto di politica è stato totalmente dissolto nella guerra tra gli spiriti, tutte le immagini immagini della potenza sono andate a brandelli – ci saranno guerre come non se ne sono ancora mai viste.»

L’atto anti-filosofico Nietzschiano, inteso come evento archi-politico, pensa lo storico-politico, a volte tramite una sua imitazione ingrandita, a volte nella figura della sua completa dissoluzione.  È precisamente questa alternativa che dà legittimità all’atto come archi-politico. Se l’atto è archi-politico allora il filosofo è un sovra-filosofo. Lettera a Von Seydlitz del febbraio 1888:

«Non è inconcepibile che io sia il primo filosofo dell’era, forse anche qualcosa di più. Qualcosa di decisivo e funesto a cavallo tra due millenni.»

Nietzsche è anzitutto il nome fortuito per qualcosa, qualcosa come un’ insurrezione fatale, una fatale insurrezione archi-politica, che si frappone tra due millenni. Ma quali sono gli scopi  di questo atto? Quale è il suo punto di applicazione? E infine, quale sarebbe un evento anti-filosofico con un carattere archi-politico? Per rispondere a questo problema, dobbiamo esaminare la critica Nietzschiana alla Rivoluzione, nel suo senso politico. Questa critica consiste nell’enunciato che, in effetti, la Rivoluzione non ha avuto luogo. Ciò va intenso nel senso che non è avvenuta una rivoluzione, per come la concepisce l'archi-politica. Non è avvenuta, perché non ha veramente spezzato la storia del mondo in due, dunque lasciando intatto l’apparato Cristiano dei vecchi valori. Inoltre, l’eguaglianza che concepiva la Rivoluzione non era altro che un’uguaglianza sociale, eguaglianza intesa come l’essere uguale a un altro. E questa uguaglianza, per Nietzsche, è sempre comandata dal risentimento.
Nell’Anticristo si legge:
«L' “uguaglianza delle anime davanti a Dio”: questa falsità, questo pretesto di rancunes delle persone abiette, questo concetto esplosivo che infine divenne rivoluzione, idea moderna e principio del declino dell'intero ordine sociale, è dinamite cristiana...»

Non si tratta per Nietzsche di opporre un qualche tipo di saggezza alla dinamite cristiana. La lotta contro il cristianesimo è una lotta tra artiglieri, o tra terroristi. Nell’Ottobre 1888, Nietzsche scrive a Overbeck:
«.. posso, da quel vecchio artigliere che sono, mettere in postazione dell’artiglieria pesante di cui nessun avversario del cristianesimo ha mai finora anche solo sospettato l’esistenza

L’archi-politica è la scoperta di un esplosivo non-Cristiano. È proprio a questa punto che Nietzsche dovrà pagare con la sua persona, dato che è chiaro che applicherà sé stesso all’impasse radicale di qualunque archi-politica di questo tipo.  Si applicherà ancora più profondamente e sinceramente perché ha definito l’archi-politica non come una  logica  fondazionale, ma in quanto radicalità dell’atto. Qui tutto si poggia sulla concezione Nietzschiana dell’evento archi-politico, l’evento nel quale l’anti-filosofia spezza la storia del mondo in due.
Bisogna dire che l’evento pare non riuscire a distinguere sé stesso dal suo annuncio, dalla sua dichiarazione. Ciò che è dichiarato filosoficamente è tale che la sua sola dichiarazione è evidenza che la storia del mondo è spezzata in due. Ma perché? Perché la verità al lavoro nell’evento archi-politico è esattamente ciò che è  proibito, e la proibizione è la legge Cristiana del mondo. Superare questa proibizione, cosa che attesta già la dichiarazione, è abbastanza per considerare  la rottura come assoluta.

«Vincerà un giorno la mia filosofia, poiché finora è stata impedita, per principio, sempre e soltanto la verità.»  (Ecce Homo)

Ma dato che ciò che Nietzsche dichiara è l’evento stesso, è catturato, come appare sempre più evidente, in un circolo. Come ho sottolineato prima, Nietzsche dice: “preparo un evento”. Ma la dichiarazione concernente la preparazione dell’evento diventa progressivamente più indiscernibile dall’evento stesso, ecco spiegata l’oscillazione di Nietzsche tra distanza ed imminenza. La dichiarazione frantumerà il mondo, e che lo frantumerà è precisamente ciò che essa dichiara:

 «In previsione del fatto che fra breve dovrò affrontare l'umanità con l'esigenza più grave che le sia mai stata posta, mi sembra necessario dire chi sono.» (Ecce Homo)

«Questo libro appartiene a pochissime persone. Forse nessuna di esse esiste ancora.»  (Anticristo)

Da un lato c’è l’imminenza radicale che mi costringe, come sola prova vivente, di dichiarare chi io sono. Dall’altro, una posizione che lascia in sospeso la domanda se ci sia un testimone vivente di questo atto oppure no. Penso che questo circolo sia il circolo di ogni forma di archi-politica. Dato che non ha l’evento come sua condizione, dato che lo concepisce – o pretende di concepirlo – nell’atto stesso del pensiero, non riesce a discriminare tra la sua realtà e il suo annuncio. La figura stessa di Zarathustra nomina questo circolo e dà al libro il suo strano tono di indecidibilità sulla questione se Zarathustra sia un figura dell’efficacia dell’atto o della sua semplice e pura profezia. L’ episodio centrale su questo è nel brano “Di grandi Eventi”. Questo brano è un dialogo tra Zarathustra e il cane di fuoco.  Appare chiaro subito che il cane di fuoco non è altro che il portavoce, l’attore, agente dello stesso evento politico rivoluzionario, della rivolta, della tempesta collettiva. Leggiamo un passaggio del dialogo col cane di fuoco.

Zarathustra parla:

«“Libertà” è il vostro latrato preferito: ma  io ho disimparato a credere a ‘grandi eventi’, quando a questi si accompagna grande fragore e fumo. E credi pure, amico dal latrato infernale! Gli eventi più grandi -non sono le nostre ore più fragorose, bensì quelle senza voce. Non intorno agli inventori di nuovi fragori: intorno agli inventori di nuovi valori ruota il mondo: impercettibile -così esso ruota. E,confessalo! Al ritirarsi del tuo fragore e fumo,sempre risulta che ben poco è accaduto. Che sarà mai una città trasformata in mummia e una stata riversata nella melma!»

L’opposizione qui è tra silenzio e fragore. Il fragore è ciò che attesta esternamente l’evento politico. Il silenzio, il mondo impregnato di silenzio, è invece il nome del carattere inatteso e indimostrabile dell’evento archi-politico. La dichiarazione archi-politica manca il suo reale perché il reale della dichiarazione, di ogni dichiarazione, è semplicemente l’evento stesso. Dunque è in questo luogo del reale,  di cui egli è privo e in cui annuncio e presenza non sono separabili, che Nietzsche dovrà rendersi presente. Ed è questa ciò che verrà chiamata la sua follia. La follia di Nietzsche consiste in ciò, che egli deve pensarsi come il creatore dello stesso mondo di cui è il silenzioso profeta, e in cui niente dimostra l’esistenza di uno spezzamento in due. In un certo senso egli è da entrambi i lati; egli è il nome, non solo di ciò che l’evento preannuncia, non solo il nome della rottura, ma in fondo anche il nome del mondo stesso.

Il 4 gennaio del Gennaio 1889, Nietzsche si proclama “Nietzsche”, in quanto nome:

«Dopo che il vecchio Dio è stato abolito, io sono pronto a reggere il mondo.»

Un’autentica archi-politica dispiega follemente il fantasma del mondo, perché essa è il processo di indecidibilità tra la profezia e il reale. Imita, follemente, la intrinseca indecidibilità dell’evento stesso; è questa stessa indecidibilità che si rivolge su se stessa  sotto forma di soggetto.  Donde la dichiarazione straziante dell’ultima lettera, la lettera a Jacob Burckhardt del 6 gennaio 1889, dopo il quale c’è solo il silenzio.

«In fondo sarei stato molto più volentieri professore basileese che Dio; ma non ho osato spingere così lontano il mio egoismo privato da tralasciare, per esso, la creazione del mondo.»

Sicuramente questa è una dichiarazione folle, ma la follia subentra al punto dove l’annuncio fallisce.  Questo processo si svolge in tre fasi: l’ambizione della rottura radicale, dell’archi-politica, è quella  di creare un mondo, creare un altro mondo, il mondo dell’affermazione, il mondo che non in effetti non è più mondo, e l’uomo non è più l’uomo, il cui nome è “oltreuomo”. Ma per creare questo mondo, l’uomo qualunque deve essere catturato da questa creazione. Solo l’uomo qualunque può certificare l’arrivo dell’oltreuomo. Ciò che avrebbe preferito è che il professore di Basel fosse stato catturato e attraversato da questo evento inatteso. Ma siccome questo non è il caso, siccome questa preferenza non si verifica, l’eroe anti-filosofico è forzato a dichiarare che egli vuole creare questo mondo. Che lo vuole creare, e non che egli sia stato invaso dalla sua insorgenza trionfante . Sicché  questo mondo è un programma, ma che è anteriore a sé stesso. E dunque si è catturati in un circolo. E infine per rompere questo circolo c’è bisogno della finzione disinteressata di una creazione integrale, non solo di un nuovo mondo, ma anche del mondo vecchio.

A questo punto, rimane solo la follia.

Contro cosa naufraga l’archi-politica? Contro la necessità inevitabile della politica. Della politica, che richiede pazienza. Che sa che è inutile annunciare l’evento. Che bisogna pensare e agire in base alla probabilità, e in circostanze che non si possono scegliere. Della politica che ha rinunciato all’idea dello spezzare la storia del mondo in due. Una politica che è contenta  — il che è già tanto,e molto difficile   —  dell’essere fedeli a poche nuove possibilità.

L’anti-filosofia si spezza contro la permanenza,la resistenza, della filosofia. La filosofia, che sa che il suo atto, come atto di verità, non ha il potere di abolire i valori del mondo. E che il lavoro del negativo non può essere dissolto nella grande affermazione Dionisiaca.

Questo vuol dire che la forza, la sincerità, il sacrificio di Nietzsche,siano inutile? Che l’idea di archi-politica sia una vana follia? Non penso.

Perché in Nietzsche troviamo un indizio prezioso. Un indizio che concerne una questione decisiva per qualunque filosofia. La questione del rapporto tra senso e verità. Su questa questione penso si pongano tre tesi principali. Anzitutto, c’è la tesi di una continuità rigorosa tra senso e verità. Chiamo questa tesi religione. C’è una tesi che stabilisce unilateralmente la supremazia del senso e tenta di distruggere la tesi religiosa. Questa è la lotta di Nietzsche. E infine c’è la tesi filosofica. È in rottura con l’anti-filosofia perché conserva e sviluppa, tramite una critica razionale, l’idea di verità. Ma è anche in rottura con la religione, perché rifiuta d identificare la verità col senso; anzi dichiara consapevolmente che in qualunque verità c’+ sempre qualcosa di insensato.

Ma ciò che avviene storicamente è che la seconda tesi, l’anti-filosofica, è quasi sempre ciò che porta la terza tesi, quella filosofica, verso la sua modernità.  L’anti-filosofia mette in guardia la filosofia. Le mostra gli inganni del senso e il pericolo dogmatico nella verità. Insegna che la rottura con la religione non è mai definitivo. Che bisogna assumere ancora questo compito.  Che la verità deve essere, ancora e costantemente, secolarizzata.

Nietzsche aveva ragione a a pensare che il suo compito primordiale fosse Anticristico. Aveva ragione a chiamarsi Anticristo. E nel suo ruolo di anti-filosofo radicale ha indirizzato la filosofia verso il suo compito moderno. Da Nietzsche, dobbiamo conservare quello che indicava come il compito della filosofia: ristabilire la questione della verità nella sua rottura col senso. Nietzsche ci mette in guardia contro l’ermeneutica.

Di conseguenza, penso che Nietzsche sia qualcuno che dobbiamo scoprire, trovare, e poi perdere. Dobbiamo scoprirlo nella sua verità, nel suo desiderio dell’atto. Dobbiamo trovarlo come colui che provoca il tema della verità verso un nuovo bisogno, come colui che rompe con la tesi filosofica per inventare una nuova figura della verità, una nuova rottura col senso. E infine ,ovviamente, bisogna perderlo, perché l’anti-filosofia deve, a giochi fatti, essere lasciata, una volta che la filosofia ha stabilito il proprio spazio.

Scoperta, acquisizione, perdita: li provo spesso nei confronti dei grandi anti-filosofi del secolo; con Nietzsche, Wittgenstein e Lacan. Penso che tutti e tre —  ma il caso di Nietzsche è il più il drammatico —  in ultima istanza si sono sacrificati per la filosofia. C’è nell’ anti-filosofia un movimento di messa a morte o silenziamento di sé stessa, cosicché qualcosa di imperativo possa essere tramandato alla filosofia. L’anti-filosofia è sempre ciò che, ai suoi estremi, enuncia il nuovo compito della filosofia, o la sua nuova possibilità nella figura di un nuovo compito. Penso alla follia di Nietzsche, allo strano labirinto di Wittgenstein, del mutismo dell’ultimo Lacan.In tutti e tre i casi l’antifilosofia lascia un’eredità. Tramanda qualcosa al di là  di sé stessa proprio a ciò che stava combattendo. La filosofia è sempre erede dell’anti-filosofia.

È per questo che sono così toccato da questa frase molto Pascaliana di Nietzsche, in una delle ultime note a Brandes:

«Dopo che mi hai scoperto, non è stata un’impresa trovarmi: la cosa difficile adesso è perdermi.»

E questa è veramente la grande difficoltà per noi tutti, ciò che ci richiede uno sforzo creativo, non è scoprire o comprendere Nietzsche. La difficoltà è sapere,filosoficamente, come lasciarlo.

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