Speravo de morì (prima)

La fine del lungo percorso del Capitano della Roma con la maglia giallorossa, rimasta sempre la stessa per 27 anni, includendo le immagini d’archivio dei momenti più esaltanti della sua carriera e unendo l’epica sportiva da vero fuoriclasse del calcio italiano e mondiale, raccontato nel tormentato periodo prima del ritiro, e la vita privata di un uomo coraggioso, semplice e autoironico, legato da sempre al calcio e a una città, Roma, di cui è diventato negli anni simbolo e bandiera.

Speravo de morì prima, diretta da Luca Ribuoli, Italia, 2021, 6 episodi

Corpo

Fin dalle primissime clip promozionali inerenti Speravo de morì prima si è giocato sulla discrasia fisica -fisionomica in primis - sussistente tra Francesco Totti e Pietro Castellitto. Ossia: tra ruolo e interprete principali della serie. Questo nel tentativo di preventivare - e dunque neutralizzare sul nascere - le polemiche riguardo la loro dissimilarità, e le annesse resistenze spettatoriali, atte a inficiare una fruizione spontanea, fluida. Sul volto ed il fisico di Castellitto si è ironizzato fin da subito, complice lo stesso Totti, sottolineando la sua inadeguatezza fisica a incarnare il mitologico capitano della Roma. A rafforzare la differenza tra i corpi intervengono anche la consistente differenza d’età tra Totti (quarantenne negli eventi della serie) e Castellitto (neanche trentenne), nonché la brevissima distanza che intercorre tra gli eventi oggetto della narrazione (occorsi tra il 2015 e il 2017) e il rilascio della serie-biopic (2021), che non diluisce le differenze tra il realmente accaduto e la sua traduzione finzionale nell’oblio, né tantomeno tra referente e corpo attoriale, e anzi obbliga lo spettatore al loro raffronto. Laddove Gianmarco Tognazzi gode di una certa somiglianza con il suo correlativo (Luciano Spalletti, il “villain” della serie), lo stesso non vale per Castellitto. E l’esigua distanza temporale tra il fatto e la sua “finzionalizzazione” non aiuta. L’immagine di Totti, con la sua carica iconica (e la sua persistenza mnemonica), aleggia costantemente su Castellitto, castrando sul nascere ogni pretesa di somiglianza e dunque, complessivamente, di verosimiglianza. Straniando, ironizzando. Dalla dissimilarità sorge anche, per Castellitto, la prospettiva di una scelta obbligata: il lavoro attoriale si è concentrato con massima cura sulla voce di Totti, sul suo timbro, sul suo linguaggio. Ovviamente l’attenzione è estrema anche sul piano mimico-espressivo, ma il personaggio di Totti è spesso pressoché immobile e apparentemente imperturbabile, dunque esteriormente inespressivo. La voce consente - visto anche il suo costante utilizzo in fuori campo, come narratrice - di superare l’impasse dell’immobilismo. Il risultato della ricerca è un mumbling romanesco a tratti difficilmente decodificabile (e anche per questa sua osticità estremamente realistico), opposto alla cristallinità di Greta Scarano (interprete di Ilary Blasi) e, pur se intrisa di accento toscano, di Tognazzi. Ma l’opposizione non volge solo verso l’esterno, esaurendosi in un moto centrifugo. Si pone anzi in un rapporto distonico con lo stesso corpo da cui proviene, vista la relazione che i due elementi intessono con il loro referente: laddove il corpo con esso stride, la voce vi si armonizza. Essa, come vedremo, è anche il luogo da cui la realtà riaffiora nell’episodio conclusivo della serie, erompendo fagocitando lo strato finzionale che l’ammanta.

Ma non è solo il corpo attoriale di Castellitto a essere inadeguato. Lo stesso vale per il corpo del personaggio-Totti, di cui vengono raccontati gli ultimissimi anni di attività calcistica: esso è descritto come inadeguato, insufficiente, poiché non più prestante (non più giovane, alla soglia dei quarant’anni). O, se ancora tale, comunque messo in discussione nel merito. La fine si insinua nei suoi legamenti, nei suoi muscoli, nelle sue ossa. Corrodendo dall’interno, «come un topo». La serie si apre dispiegando fin da subito tutta la sua carica esiziale in un’allucinata sequenza ospedaliera, esprimendo quel presentimento paranoico della fine che connota l’opera nella sua interezza, e che passa attraverso la carne di Castellitto-Totti:

L’inadeguatezza del corpo interpretante rinviene dunque un proprio doppio nel corpo del soggetto interpretato, di cui si (meta-)riferisce non solo lo stato psicologico, bensì anche fisico. Un gioco di specchi in cui ravvisare il potenziale ironico di Speravo de morì prima fin dal processo di casting, osservato non solo nei suoi risultati (gli attori ingaggiati), ma anche nel contesto storico in cui ha avuto luogo. Se significante (attore) e significato (ruolo) differiscono in tal misura - e se è pressoché impossibile eludere tale differenza sul piano spettatoriale, semplicemente obliandola - il terreno di gioco si elasticizza rispetto a supposte logiche di verosimiglianza, evitando di adeguarsi pedissequamente a quanto realmente accaduto e a quanto di quell’accaduto persiste nella contemporaneità: il viaggio nello spazio cosmico durante la radiografia non è che uno degli squarci irrazionali che caratterizzano la serie nel suo incedere, accanto a improbabili citazioni de L’attimo fuggente (Dead Poets Society, dir. P. Weir, 1989), mutuazioni stilistiche dallo spaghetti western leoniano (che si fanno esplicite nel quinto e penultimo episodio, con tanto di riassestamento dell’aspect ratio, ma che permeano la serie dai primordi soprattutto attraverso l’impiego della musica), fino a deliranti apparizioni spiritiche (l’Antonio Cassano di Gabriel Montesi), etc.

Lacerazioni, aperture sull’immaginario che fallano il tessuto pseudo-realistico della serie, rimarcandone l’ambiguità. Nulla di eccezionale, nell’ambito del biopic. Basti pensare ai recenti giochi metatestuali di Mank (dir. D. Fincher, 2020), alle evidentissime marche stilistico-autoriali di film quali Malcolm X (dir. S. Lee, 1992) o The Wolf of Wall Street (dir. M. Scorsese, 2013), alle incursioni psichedeliche di The Doors (dir. O. Stone, 1991), fino a casi limite come Bronson (dir. N. W. Refn, 2008). Operazioni che non fanno che sottolineare, esaltandolo, il processo di distanziamento consustanziale ad ogni operazione di finzionalizzazione.

Ma in Speravo de morì prima le citazioni ad opere altrui e i momenti d’onirismo non concorrono tanto alla poiesi di un universo autonomo da quello fondato storicamente, dal quale il testo si emancipa, quanto a sancire l’insufficienza e l’inadeguatezza del primo nei confronti del secondo. Del mito nei confronti della storia.

Voce

Nel sesto e ultimo episodio, la fiction cede il passo al factual. L’ultima, silente apparizione di Castellitto è sovrastata da un voice over in cui il timbro vocale dell’attore è rimodulato per approssimarsi a quello di Francesco Totti, rifluendovi. La metamorfosi avviene all’interno del pullman della Roma: un involucro di vetri oscurati, in cui avviene il miracolo. Totti vi entra personaggio, fuoriuscendone persona.

Niccolò Buttigliero Junior

Vita low budget in campionato juniores. Vedere, scrivere, fare cinema - ut scandala eveniant.

Laureato al DAMS di Torino in Storia e teoria dell'attore teatrale con una tesi sul «progetto-ricerca Achilleide» di Carmelo Bene. Vive in un cinema e lavora in un teatro.

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