Vivere tristemente
Achrome, Piero Manzoni, 1959, Caolino e tela, GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea, Torino
Svegliarsi la mattina con il trillo di una sveglia, oppure senza. Alzarsi troppo tardi ed essere ancora stanchi. Inforcare gli occhiali e prendere il metrò. Affittare un motorino o un monopattino. Non fare colazione, mangiare, mangiare del pane. Vedere delle persone, delle cose, delle macchie. Parlare. Al limite, muoversi, gambe all’aria. La disidratazione che scava le cose, i lampioni, i sentimenti, l’asfalto, l’orizzonte irregolare di urbanismi prezzolati. Insistere nel camminare, nell’uscire, nel cercare.
Vivere in una città grigia, senza poesia. Vivere in una città colorata, senza fascino. Manco piovesse, manco risuonasse da alti altoparlanti una musica da funerale. Aspettare un messaggio, ricevere un messaggio. Inviare un messaggio. Un progetto di una rivista, che fatica un progetto di una rivista. Due sogni a occhi aperti, che fatica, aggravano quelli a occhi chiusi. Figurarsi. Un progetto scalcagnato, un’assemblea. Un poco, solo un poco, di futuro, uno scampolo. La curiosità che indaga per conto suo, e andargli appresso. Provare a leggere, provarci. Con gli occhi che vanno per conto loro, anche loro. La testa, altrove. Pensare.
Scorrere le immagini di un mondo saturato, questo. Non un altro, questo. Correre per non scorrere delle immagini. Altre immagini, un altro mondo. Questo. Vagare, affidarsi, sperare, tentare, al buio, di uscirci dentro. La manifestazione se ne va per conto suo, ti sbagli, non ne fai parte. Anche se lanci sanpietrini, anche se gli sbirri ti manganellano, anche se la guerra finisce e la pace non si farà. Anche se ne fai parte.
La politica, l’amore, la scrittura, il bere, il sesso, il lavoro. Ah, il lavoro. Lavorare. Lavorare bene, lavorare male. Lavorare poco, lavorare tanto. Andare al lavoro, rientrare dal lavoro. Gli aperitivi di lavoro. Una riunione di lavoro. I colleghi di lavoro. Il calcetto di lavoro. L’acqua del lavoro. Il cibo del lavoro. La passeggiata dopo il lavoro, la passeggiata a lavoro. Una chiamata di lavoro. Il posto di lavoro, il luogo di lavoro. L’offerta di lavoro. Il salario per un lavoro.
Tirare cocaina o non drogarsi. Seguire il ciclo solare, o sbattersene. Svuotarsi le palle, o sbattersene. Fumare, o non fumare. Gli alberi si spogliano e le ragazze si rivestono. Osservare. Pentirsi ogni santo giorno di ogni scelta che si è fatta. Dal mattino alla sera, curarsi di occupare la mente con tutte le ragioni della vergogna, dell’imbarazzo e della sofferenza altrui da voi procurate. Osservare le vostre bugie.
Attendere pazientemente, monaci certosini, che il mondo giri un’altra volta. Bollire troppo a lungo la carne, bere una tisana fredda, far sciogliere i cereali nel latte. Lasciare che una lampadina si fulmini, non svuotare la lavatrice. Non guardare nessun film.
Calarsi le braghe e andare a dormire. Distendersi e rotolare. Tornare bambini e fallire. Ispezionare la confusione, fuori e dentro, dentro e fuori. Tastare con mano la distanza infinita che separa i corpi e le idee, le parole e le cose, le parole e le parole, le cose e le cose. Gettarsi per un momento dalla rupe e vedere come finisce il baratro. Addormentarsi.
Dicono che serve coraggio per vivere tristemente. Io dico, penso, che è triste vivere tristemente. È veramente un peccato, vivere tristemente. Non trovate?